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Professore Ordinario di Idrologia e Costruzioni Idrauliche al Politecnico di Milano inizia su Primocanale un viaggio alla scoperta dell'acqua in Liguria
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Ricordatj quando comentj l’acque dal legar prima la sperienza e poj la ragione (Leonardo da Vinci, Manuscritto H, Folio 90R, T1).

In base all’Annale Idrologico 1968, la Liguria contava allora su 29 stazioni idrometriche attive, le stazioni di misura che controllano il livello e la portata del fiume. Per 23 di queste, il Servizio Idrografico dello Stato pubblicava anche i bilanci idrici. Oggi non si sa quante siano, almeno ufficialmente, le stazioni attive. L’ultimo documento (cartaceo o digitale) che rende pubblici i dati validati, l’Annale Idrologico, è stato pubblicato dall’Arpa della Liguria nel 2012 e riporta 16 stazioni attive, ma solo per 7 di loro sono riportati i dati di bilancio e la serie storica. Dopo il 2012, c’è solo il buio. E, ancora più grave, la porzione regionale nel bacino padano (un terzo circa del territorio regionale) è del tutto ignorata.

Senza dati ogni decisione sull’acqua è del tutto aleatoria e arbitraria, ogni congettura diventa plausibile, ogni modello proponibile, ogni contenzioso alimentabile, direbbe oggi Leonardo da Vinci con amarezza. Come scrissi qualche anno fa, “i commenti sull’idrometria italica sono superflui, i numeri parlano da soli. Peggio quando si scende a scala regionale, come in Liguria. Si tratta di una regione idrografica tra le più indiziate in Europa per essere colpita con elevata frequenza da alluvioni e frane. Costatare che, da più di 30 anni, sia stata prestata così poca attenzione alla necessità di misurare la portata dei corsi d’acqua merita una riflessione sull’evoluzione culturale del paese. Narra una storia di ignavia e omissioni. E urla la distanza abissale tra pensiero e azione” (da: Rosso, R., Bombe d’acqua, Venezia: Marsilio, p.78, 2017)

È indispensabile investire sulla misura e osservazione dei fenomeni, soprattutto in un periodo di forte variabilità meteo-climatica. Si tratta di una attività che richiede una certa massa critica, soprattutto a livello di personale addestrato e formato al lavoro sul campo. Potrebbe essere utile attivare convenzioni e gli accordi con le vicine regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna) che hanno messo in piedi istituzioni efficienti ed efficaci dopo l’abbandono del settore da parte dello Stato nel 1978.

Questa attività va estesa non solo ai corsi d’acqua ma anche alle falde, che in molti contesti forniscono un contributo idrico essenziale, cospicuo e indispensabile, pure essendo soggette a depauperamento, contaminazione, risalita del cuneo salino.

Questa attività va anche estesa alle misure onda-metriche, che forniscono i dati essenziali per la difesa costiera dalle mareggiate, la progettazione dei moli e dei pennelli, la manutenzione e il rimodernamento delle infrastrutture di difesa portuale.

Si tratta di ricostruire una capacità di fare ormai quasi perduta da parte delle istituzioni. È un impegno che traguarda una prospettiva di lungo periodo ma, in cinque anni di legislatura, si potranno senz’altro costruire solide fondamenta di un edificio moderno e funzionale da trasmettere alle generazioni future. L’adattamento al cambiamento climatico si costruisce solo con la consapevolezza.

Renzo Rosso*
Professore Ordinario di Idrologia e Costruzioni Idrauliche al Politecnico di Milano