È arrivata la definitiva parola fine per la Technisub, la storica azienda di prodotti subacquei con sede in Valbisagno. Dopo mesi di tentativi di mantenere a Genova il marchio e l’occupazione ecco anche l’ultimo atto: via libera alla cassa integrazione ordinaria per i 29 lavoratori della Technisub di Genova. È stata infatti firmata la lettera di licenziamento collettivo. Ora Regione Liguria, sindacati e rsu hanno avviato un percorso per cercare di ricollocare in altre realtà del territorio i 29 lavoratori.
Perché la chiusura della Technisub
Il gruppo francese Aqualung, che detiene il controllo dal 1982, ha da tempo avviato la procedura di licenziamento collettivo per tutti i lavoratori del sito genovese di Technisub. Oggi la storica azienda genovese fondata nel 1962 da Luigi Ferraro è sotto la gestione di un fondo americano. All'interno dello stabilimento in Val Bisagno a Genova si producevano prevalentemente maschere, pinne e boccagli. Visto le spese e i bilanci i vertici aziendali hanno deciso di trasferire la produzione di attrezzature per sport acquatici nello stabilimento inglese della controllata Apeks a Blackburn per ridurre i costi di produzione. In questi mesi sono andate avanti diverse trattative per trovare una soluzione alternativa e permettere di salvare la produzione a Genova e i posti di lavoro. Ma tutte le opzioni sono rimaste senza soluzione.
Grino (Fim Cisl): “Firmata cassa integrazione per 29 dipendenti”
“Technisub chiude lo stabilimento di Genova: dopo lunghe trattative durate quasi 9 mesi questa mattina in Confindustria Genova abbiamo siglato accordo sulla cassa integrazione per cessazione di attività per 29 dipendenti sino al 31.12. 2025 a cui si aggiungono tre mensilità e un riconoscimento economico di 6mila euro. Adesso ci saranno poi altri passaggi burocratici col Ministero e poi è previsto un incontro con la Regione per cercare una soluzione che possa garantire l’occupazione di questi lavoratori”, spiega Davide Grino della Fim Cisl Liguria che aggiunge: “C’è grande amarezza per una storica azienda che ha deciso di spostare le lavorazioni in Inghilterra. Sono le lavoratrici e i lavoratori che stanno pagando il prezzo delle strategie sbagliate dell’azienda”, conclude Grino.
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