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di Franco Manzitti

Ci distrarremo sicuramente in questo fine settimana con le elezioni locali, che riguardano un po’ di comuni anche in Liguria, con qualche segnale importante che può partire per una politica così “liquida”, cangiante. Piccole spie che si accenderanno in un quadro generale in qualche modo oramai stabilizzato dal perentorio risultato di sei mesi fa con le Elezioni Politiche che hanno cambiato volto all’Italia, come mai era avvenuto nel Dopoguerra, neppure quando nacque il centro sinistra nei primi anni Sessanta, neppure quando sfiorammo il compromesso storico alla fine anni Settanta, neppure quando Berlusconi fece irruzione a metà degli anni Novanta.

Quadro fisso per la scadenza del 2024 con le elezioni europee, che fino a qualche tempo fa sembravano  un appuntamento quasi secondario, l’occasione per distribuire poltrone ai delusi, ai “tagliati fuori”, ai “fine carriera”, eleganti e ben remunerati contentini a chi doveva essere sistemato dai partiti per riconoscenza, per pre pensionamento, per notabilizzazione o per qualche ricompensa ad amici fedeli del giornalismo, della cultura, dell’economia e non solo. Mentre oggi rivestono non solo una carica politica notevole, il primo banco di prova del governo Meloni, ma anche un significato fondamentale nella essenza di scelta in Europa, con i tempi che corrono, in una rivoluzione geopolitica totale e inaspettata in termini così complessivi, a due anni dalla svolta della guerra nel cuore del nostro Continente alla ricerca di una nuova identità nella crisi epocale dell’Occidente.

Ma ci sono altri appuntamenti elettorali e non che mettono alla frustra il nostro territorio, che domani e lunedì respira il ritorno alle urne. Sembrano scadenze lontane, ma già agitano il panorama politico locale. Con una differenza tra il centro destra governante quasi ovunque e l’opposizione, soprattutto quella del Pd, apparentemente impegnata solo a decidere se e come costruire le alleanze con i 5 Stelle  e il resto della galassia di sinistra.

Mentre le future elezioni comunali e quelle regionali, distanti qualche anno (ma il tempo passa rapido)  e perfino la imminente scelta del prossimo presidente dell’Autorità di sistema portuale ( che scade nel 2024) fanno già muovere le pedine nel centro destra, dove in molti fremono, a sinistra l’unica mossa che ha scosso è stata la imponente uscita di Claudio Burlando, un super ex, che è tornato alla ribalta con iniziative personali tutte da leggere, ma degne di attenta osservazione.

Che farà Toti dopo il secondo mandato e semmai chi ambirà a sostituirlo  nella sua variegata maggioranza, dove non sono sempre state rose e fiori e dove Fratelli d’Italia oggi vanta il credito più pesante da saldare? Nomi e ipotesi viaggiano già sottotraccia. E Bucci, che sta vivendo un secondo mandato certamente più duro del primo, come pensa al suo futuro e al capitale di consenso che ha messo insieme? E’ vero che ha “accarezzato” Palazzo san Giorgio con tutte le partite che da lì si giocheranno?

La sua successione a Tursi sembra già assegnata al vice,  l’avvocato Pietro Picciocchi, quasi per una discendenza automatica, ma chissà?

E il dopo Signorini in porto viene già bello squadernato nella maggioranza, che lungo l’asse Meloni-Toti sa di avere una bella gamma di scelte. Anche rivoluzionarie.

Ma dall’altra parte, tra chi dovrebbe prepararsi per tempo dopo avere perso tutte le battaglie possibili, salvo quella di Savona, non sta succedendo nulla, un po’ per rassegnazione, un po’ per incapacità a collegarsi con realtà che potrebbero esprimere candidature nuove. L’effetto Schlein, che per altro è stata lanciata proprio in Liguria, non sembra ripetersi nel Pd che ha regolarmente sbagliato tutte le scelte dal 2015 in avanti per ogni scadenza elettorale, dopo travagli peggiori del parto più difficile che ci sia.

Eppure gli spazi e i dossier, come si dice oggi, per impegnarsi in battaglie decisive nel futuro cittadino e regionale ci sono, al di là degli schemi classici delle diseguaglianze da cancellare, del lavoro da creare, dell’ambiente da difendere eccetera eccetera. Lasciando da parte le banchine, dove almeno la voce dell’opposizione si sente, come sulla vicenda del trasferimento da Multedo dei depositi chimici.

Le candidature si costruiscono nel tempo e concentrandole su temi “visibili”, emergenti nel dibattito della città e della Regione. Le candidature nascono attraverso un rapporto proficuo con la società civile, con i corpi intermedi, che saranno in ribasso ma che ci sono eccome. Anche se sono cambiati i tempi dall’era in cui in quella società si sceglievano Beppe Pericu, l’avvocato-professore e Adriano Sansa, il magistrato. E poi, su un’altra ribalta, Stefano Zara, il presidente degli industriali ed ex manager di Stato.

Possibile che nulla si muova in questo senso in una regione dove le urgenze bruciano, come quelle della Sanità e dei trasporti, nelle autostrade collassate, nel Terzo Valico in ritardo epocale, nei treni -carri bestiame e non servizi decenti anche per un turismo che cresce?

E in un Comune dove sì, ci sono cantieri e progetti a iosa, ma dove altri visioni sono possibili, non solo sky tram, funivie per i forti, una metropolitana cucù che oggi terremota piazza Corvetto, grandi problemi di sicurezza nel centro storico, tutt’ora da recuperare, uno stato di manutenzione e di traffico urbani non certo da leccarsi i baffi?

Prudono un po’ le mani a immaginare come tutto questo potrebbe essere affrontato con programmi, idee e uomini alternativi, tanto per assicurare un bel confronto democratico, anche in una fase politica tanto liquida, dove impazzano il revisionismo storico dei postfascisti, i conati del presunto terzo Polo, le ennesime rivoluzioni istituzionali, la spada  di nuovo piantata  nella roccia per cambiare le carte della Repubblica settanta anni dopo. Nulla, non succede nulla. Forse è colpa della stampa, come si diceva una volta.