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I tecnici di Castellucci & C, come Abatantuono: per difendersi indicano a un "difetto nascosto senza precedenti nella storia dell'ingegneria", e poi fanno bingo aggiungendo un carroponte, una tempesta di vento e un rotolo di acciaio mai caduto
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di Michele Varì

GENOVA -Il termine tempesta perfetta è impiegato in meteorologia per descrivere un ipotetico uragano che colpisca esattamente l'area più vulnerabile di una regione, provocando il massimo danno possibile per un uragano di quella categoria.

Ecco per i tecnici, i consulenti che difenderanno in aula Castellucci, Berti e Donferri Mitelli e tutti gli altri, a provocare il crollo non è stato la scarsa manutenzione ipotizzata dai pm e dalla guardia di finanza per risparmiare milioni di euro e fare guadagnare più denaro ai Benetton e che dopo la tragedia costata la vita 43 persone continua a mettere in ginocchio la viabilità e l'economia dei genovesi.


Per i consulenti di Castellucci la colpa del ponte è stata una serie di cause "eccezzziunale...veramente", alla Diego Abatantuono, anche se qui c'è poco da ridere visto che sono morte 43 persone. Ed è bene ripeterlo: transitando su quel viadotto sono morte quarantatré persone. Lavoratori, famiglie, donne, padri, mamme, bambini in partenza per le vacanze, viaggiatori occasionali, una donna che raggiungeva una beauty farm e aveva chiesto al Henri Diaz, studente che si pagava gli studi facendo saltuariamente il tassista, di non passare dalla A7 per evitare le curve della camionale, e così avevano deviato sulla A26 e poi sul Morandi, di fatto firmando la loro morte.

Per Autostrade gli eventi "eccezzziunale...veramente" che si sono dati appuntamento alle 11.36 di quel giorno sul viadotto partono dal vizio occulto di costruzione sulla pila nove che poi ha provocato il crollo. Un difetto di costruzioni avvenuto poco prima della fine dell'opera e nascosto dai costruttori forse per non fare slittare l'inaugurazione.
Un vizio emerso durante il secondo incidente probatorio, un vizio "senza precedenti nella storia dell'ingegneria" che ha poi trovato innesco in altri fattori eccezionali accaduti - ma guarda la sfiga di Castellucci - sempre alle ore 11.36 di quel 14 agosto 2018: il carroponte usato (fra l'altro come emerso in aula su direttive di Autostrade per l'Italia) per riparare i new jersey e che avrebbe tranciato i cavi dell'impalcato, eccezionale anche l'evento atmosferico, un "downburst" (forse anche questa mai avvenuta nella storia della meteorologia) e poi a completare la costellazione negativa di quell'attimo anche un rotolo di acciaio di trenta tonnellate che sarebbe caduto sul ponte da un tir, peccato che le immagini della finanza dimostrano che il rotolo non è mai caduto dal cassone, ebbene questi tre eventi "eccezzziunali veramente", sono i veri responsabili della tragedia, non Castellucci & c.

E che importa se due delle tre pile gemelle che reggevano il viadotto avevano dato chiari sintomi di corrosione nei cavi d'acciaio annegati nel cemento già negli anni '80, tanto che la 11 era stata rifatta nel '90 e la 10 rappezzata. I lavori sulla nove, invece, quella che ha provocato il collasso, sono stati sempre rinviati. Rinviati per decenni, tanto che sarebbero dovuti partite nell'ottobre del 2018, due mesi dopo il crollo: troppo tardi.

Mi torna in mente un aneddoto di mesi fa: Vado dal calzolaio Gianni di Porta Soprana perché la suola di uno scarponcino mi si è scollata. Quando chiedo se potevano portarglielo lui mi risponde "Mi porti anche l'altra scarpa, sarà da sistemare anche quella, quando se ne scolla una poi accade lo stesso anche all'altra".

Quell'artigiano involontariamente ha impartito una lezione all'ex amministratore delegato di Autostrade per l'Italia Giovanni Castellucci e agli altri 57 imputati alla sbarra per non avere evitato il crollo.

Gianni il calzolaio in un minuto avvalora quanto sostengono da anni i magistrati titolari dell'indagine sul tragedia del viadotto Polcevera: riparata la pila 11, lavori avviati nel lontano 1992 e durati due anni, i super ingegneri e manager di Autostrade per l'Italia, di Spea e tutti gli altri uffici competenti, da quelli ministeriali e quelli del primo tronco di Genova, avrebbero dovuto, a rigor di logica, fare lo stesso per le altre due pile gemelle, la 10 e soprattutto la 9, quella che ha provocato il crollo.

Per ventiquattro anni invece non hanno mai neppure controllato a fondo l'altro scarponcino, o meglio dopo avere rifatto la 11 e messo due pezze sulla 10, si sono limitati a spolverare con delle resine l'esterno della pila 9: hanno preso tempo, per non spendere o per incapacità, lasciando colpevolmente correre il tempo sino a quando non si è scollata anche l'altra suola.

Aggiungo che chiudendo il ponte per rifare la pila 9 Autostrade per l'Italia avrebbe perso 10 milioni all'anno perchè ogni giorno fra i caselli di Aeroporto e di Genova Ovest transitano 60 mila veicoli che allora (oggi la tariffa è aumentata) permettevano di incassare introiti per 30 mila euro, basta moltiplicare la cifra per un anno per capire a quanto avrebbe dovuto rinunciare Aspi, appunto a 10 milioni di euro, in caso di chiusura.


Il grande Diego Abatantuono avrebbe detto, "Scusa se è poco".

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