Torna la polizia, tornano i caschi blù a presidiare il centro storico. Si installano centri medici tra i carruggi. Il popolo negletto di via della Maddalena, dove le saracinesche chiuse sono ben di più di quelle aperte e dove i bassi della prostituzione si affacciano nella mezza luce dei vicoli, esattamente come nei secoli scorsi, indietro fino ai tempi dei Dogi e degli imperatori e della guerre tra grandi famiglie, minaccia nuove manifestazioni di protesta. Il centro storico, i “caruggi”, la “città vecchia”, come la chiamava con uno suo vezzo, don Gianni Baget Bozzo, prete pensatore, politico e anima della città, è ancora e di nuovo e per sempre una emergenza.
Non c’è sindaco, giunta comunale, sistema di potere, assessore delegato, mecenate, genius loci e non loci, che l’abbia salvato da quando questo grande problema è emerso nella città mutevole cento volte e sotto tutti i regimi e i poteri.
Ci hanno provato, accidenti se ci hanno provato, a partire da quando il porto medioevale è stato abbandonato, privilegiando Sampierdarena, come ha acutamente ricordato recentemente Massimiliano Morettini, uno che di caruggi ( e di città e di amministrazione) se ne intende come pochi.
Cambiava tutto, quelle piazze-mercato tra i vicoli, quei luoghi si scambio di merci e non solo, quel regno di scagni e botteghe, dovevano avere un altro destino, ora che arrivavano i container e il traffico cambiava tanto e si spostava.
Addio commerci, sbarco di marinai, perfino “piaceri della notte”, locali ruggenti di umanità marinaia e non solo, come il mitico Zanzibar dei nostri amarcord giovanili, il luogo della trasgressione massima nel cuore dei vicoli.
Addio poteri interni, equilibrio di forze diverse, i contrabbandieri ricchi e potenti, la mala di un tempo, dura ma con le sue regole, addio vicesindaco di Prè, autorità autonoma e rispettata anche dalla polizia, addio ronde delle pattuglie americane, sbarcate dalla portaerei, che in porto neppure ci poteva entrare, ma ormeggiata fuori dalla diga sfornava il suo equipaggio a terra come un fiume di divise bianche o blù a seconda della stagione.
Il centro storico diventava altro da sè, cosa sarebbe potuto diventare mentre la città anche violentemente sarebbe cambiata, spesso cattiva, settaria, distruttiva come con le operazioni di via Madre di Dio, che nel 1971 polverizzarono la casa di Paganini, altro che picun daghe cianin…..
Morettini ricorda che Renzo Piano, quando gli affidarono il Porto Antico nel 1992, disse che da allora per salvare i caruggi ci sarebbero voluti 60 anni.
Siano a metà di quella previsione e siamo daccapo.
Eppure negli anni Settanta-Ottanta un genio come Edoardo Benvenuto, il preside di Architettura, aveva già trasferito la sua Facoltà nella zona di Sarzano, salvando un pezzo chiave del centro storico, che ora splende tra la Porta Soprana, Ravecca, e via andare, con i grandi gioielli di quel’ombelico genovese. L’ultimo è Sant’Agostino, appena rilanciato.
E sotto ci sono le Erbe e sopra i Giardini Luzzatti, miracolo di civiltà, di vita, di cultura, di comunità. Ma il resto?
Non si può dire che altri ci abbiano provato. L’operazione Porto Antico e la grande scommessa del nuovo Ducale avrebbero dovuto saldare i caruggi al cuore genovese del centro in un effetto benefico..
Piazza Cavour, nella quale ora aspettiamo gli alberi come il Messia, doveva essere la piazza larga che apriva il forziere dei caruggi. Non è stato così. Non è successo che il Porto Antico diventasse la grande apertura che altrove non si poteva fare, perché la politica era sempre stata quella di evitare altre aperture, le temute demolizioni che solo qualche parlamentare coraggioso, nel corso degli anni, aveva spinto, solo o soli contro tutti, come l’ex questore Forleo, diventato deputato o come Mauro Sanguineti. Respinti con perdite.
E così il tarlo della sicurezza è rimasto a corrodere la bellezza sfiancante dei caruggi, a minare il coraggio di chi cercava di aprire, di ricostruire, di salvare, tra un gioiello e l’ altro, il palazzo del Grillo di fianco alle Vigne, quello del Melograno a Soziglia-Campetto, l’operazione fantastica dei Rolli, che dura e si allarga ed è benemerita ma non basta, e prima ancora il teatro della Tosse di Tonino Conte, nel cuore pulsante di Sarzano già salvata…. e ce ne sarebbero tanti altri.
Non è riuscita l’operazione via Prè, il salvataggio dall’alto, con le aperture di Palazzo Reale, i gesti coraggiosi dell’occhialeria sociale, la sfida di tanti singoli commercianti e artigiani. Se fosse riuscito quel link il centro storico da recuperare si sarebbe saldato, appunto nella morsa Prè-Sarzano, anche perché diverse operazioni coraggiose si sono susseguite perfino in via Del Campo dove ora, grazie a Emanuela Cattaneo è sorto un hotel a cinque stelle di rara eleganza e bellezza, con il recupero di un palazzo storico della famiglia.
Le fasi acute di emergenza si sono susseguite quasi come i piani comunali di recupero. Dallo storico incarico di Fulvio Cerofolini, anni settanta-ottanta, ai sei grandi architetti che si divisero il territorio in aree di intervento, all’ultimi “piano caruggi” di Marco Bucci, anni duemila dieci-venti.
Invece tutti i tentativi sembrano stroncarsi nel nulla, come se ci fosse una storia che respinge. Ora i caruggi sono come circondati e popolati da tribù diverse, come se i buoni cercassero di prevalere sui cattivi.
I buoni, coloro che cercano operazioni di recupero, i cattivi che usano quell’area così pregiata per lo spaccio e la prostituzione, riconvertendo al loro malaffare la debolezza dei territorio occupato dagli immigrati. Che dove altro potevano andare, se non in quel ventre molle e spesso sfatto: fino a non molto tempo fa c’erano ancora le macerie della guerra, dei bombardamenti.
Negli anni Novanta un mio grande direttore, Eugenio Scalfari, colpito da quella emergenza genovese, come se fossi un vero inviato di guerra, mi mandò nel centro storico a raccontare quelle tribù, i loro scontri, il dominio dello spaccio e della violenza , la rivolta degli abitanti.
Dormii per diverse notti in un hotel a una stella, sprofondato in Croce Bianca, per raccontare sopratutto cosa succedeva quando calava il buio in quell’area che _ l’estate del 1993_ era riesplosa in modo tanto violento. Il Ministero degli Interni aveva inviato un questore speciale a domare le insurrezioni.
Si chiamava Marcello Carnimeo, e appena giunto a Genova, non andò neppure in Questura, ma scese subito nei caruggi.
Il primo provvedimento fu quello di “militarizzare”. Ma non era sufficiente. Allora nelle diverse aree del centro storico agivano comitati di residenti che erano poi le tribù dei buoni che non condividevano quella totale manu militari.
Il questore ebbe l’intelligenza di mediare e così si scampò una vera guerra, che minacciava di infuocare veramente la “città vecchia”. E questo territorio, che è un tesoro di Genova, erroneamente indicato come il centro storico più grande d’Europa, è rimasto in bilico tra una fiammata e l’altra.
Una parte è come se fosse rimasta invisibile, un’altra ha magari avuto interventi importanti di rifacimenti, ristrutturazioni, ma non basta. Che pena passare davanti alla Loggia dei Mercanti, eterno cantiere o allungare sotto Ripa, oltre le botteghe storiche, verso la Stazione Marittima, in un perdersi di negozi usa e getta, tutti con gli occhi a mandorla, fino a Principe, la nostra Cina town diffusa. Che sforzo il Museo del Mare e di fronte, o quasi, quello nuovo dell’Immigrazione, isole in mezzo a territori che la maggior parte dei genovesi giudicano infidi. Salvate il centro-storico e sarà un’altra Genova.