L’ho guardato da solo, fuori dalla ressa e dagli inevitabili convenevoli della presentazione ufficiale. “Breathe, fino all’ultimo respiro” mi è piaciuto. E mi ha commosso. Il groppo mi è salito in gola ripensando a quei giorni tragici, durante i quali ho perso il consuocero, amici e conoscenti. Ho rivissuto le paure, le ansie, le speranze di quando mi sono contagiato e aspettavo la telefonata da un infermiere o da un’infermiera della mia Asl per spiegare come stavo. E ricevere da loro parole di conforto e di sostegno.
Di fronte a queste e alle molte altre cose che “Breathe” mi ha fatto rivivere, non avverto alcun senso di colpa nell’affermare che io, come tante, tantissime altre persone, ho compiuto un esercizio di rimozione. Non voglio più ricordarli quelle ore, quei giorni, quelle settimane, quei mesi così tragici. Ma “Breathe” mi ha spinto a una riflessione: i cittadini possono anche permettersi il lusso di dimenticare (in realtà non accade), però la politica no. La politica non può dimenticare. Anzi, non deve.
E allora è proprio qui che il lavoro di Edoardo Rossi, il regista del docufilm di Primocanale, ottiene il suo obiettivo principale: dirci che quanto accaduto una volta può ricapitare eccome. Edoardo è uno dei due figli dell’editore Maurizio Rossi e mi piace proprio che i giovani comincino a occuparsi dell’azienda di famiglia. Ma i complimenti (vanno pure a coloro che hanno lavorato alla produzione) li merita a prescindere dal cognome: se anche si fosse chiamato Bianchi sarei qui a dire bravo, perché “fino all’ultimo respiro” è un ottimo mix di emozioni e realismo. E fa riflettere.
Sono gli stessi protagonisti delle interviste a rammentarlo: ne siamo venuti fuori grazie all’abnegazione di tutti, però partendo da zero. Non c’erano abbastanza letti nelle terapie intensive, non c’erano strumenti di prevenzione come le mascherine, avevamo un piano pandemico nazionale di fatto “scaduto”, non era mai avvenuta negli ospedali una esercitazione che fosse una, il sistema sanitario italiano si componeva (e si compone) di venti sottosistemi, uno per ogni Regione. Vogliamo dirlo? Un casino.
Quando tutto cominciò era la fine del 2019. Però la questione ci prese alla gola all’inizio del 2020. Quasi cinque anni dopo, se ridilagasse una pandemia saremmo pronti rispetto ad allora? Voglio ripeterlo: abbiamo un numero sufficiente di letti nelle terapie intensive, abbiamo strumenti di prevenzione come le mascherine, abbiamo un piano pandemico aggiornato, sono state compiute delle esercitazioni, è stato realizzato un sistema che metta insieme presto e bene i sottosistemi sanitari di ogni Regione?
Domande alle quali personalmente non so dare delle risposte. Forse perché il medesimo esercizio di rimozione è stato compiuto dai mass media, sebbene con alcune eccezioni quali “fino all’ultimo respiro”. Eppure è su questi aspetti che bisognerebbe con urgenza interrogarsi. La risposta che arriverebbe dalla vita quotidiana delle persone è ahimè chiarissima: una volta avevamo il miglior sistema sanitario pubblico al mondo, o almeno uno dei migliori, mentre oggi in tanti sono costretti a non curarsi. Ci vorrebbero i soldi e milioni di cittadini non li hanno. Se questo è vero, ed è purtroppo vero, possiamo dire che qualcosa, più di qualcosa, non ha funzionato.
Tante anime belle, accecate dalla partigianeria, addebitano la responsabilità principale a questo governo: falso! Sono almeno vent’anni, persino di più, che le maggioranze di Palazzo Chigi prendono a colpi di maglio la sanità italiana. Quando tagli, e tagli, e tagli i bilanci, il risultato è quello che oggi sta sotto gli occhi di tutti. “Breathe” mi ha suggerito un’altra riflessione: le Regioni che hanno meno medici e medici meno bravi, ospedali non sufficientemente qualificati e via elencando devono fare i conti con il meccanismo delle fughe, cioè con pazienti che vanno a curarsi altrove e poi la loro Regione deve pagare. Così esplodono i bilanci.
La Liguria è sostanzialmente in mezzo al guado: in generale ha buoni medici e infermieri, in qualche caso delle vere eccellenze, però ha egualmente il problema delle fughe. Perché ha scarso personale e strutture carenti. Inoltre, e non sempre è riconosciuto nei trasferimenti finanziari dallo Stato, ha una popolazione sempre più anziana. Dovrebbe essere una bella cosa, invece invecchiare sembra diventato un torto! Forse era meglio prima, quando della sanità si occupava il governo centrale, qualsiasi colore avesse, con un solo rendiconto. Ho il dubbio che anche le pandemie come quella del Covid si affronterebbero meglio.
IL COMMENTO
"Breathe": la politica ha il dovere di ricordare i giorni del Covid
Il docufilm sul Covid, una lezione per la giunta che deve rifare la sanità