La politica sembra davvero incapace di dire le cose come stanno. E quando c’è di mezzo una campagna elettorale, le cose peggiorano pure. Dunque: tutti, da un capo all’altro del centrosinistra e del centrodestra, sono unanimi nel sostenere che “i piccoli negozi devono sopravvivere”. Mutano, è ovvio, le ricette. E muta anche l’atteggiamento nei confronti della grande distribuzione. Ma a corrente alternata: se stai all’amministrazione sei favorevole, sennò sei contrario.
Orbene: trovatemi uno, in Italia, uno solo, che si dica ostile alla sopravvivenza dei negozietti. E’ come cercare uno che non vuole la pace. E certo che tutti sono per un mondo senza guerre e, quindi, senza armi. Poi, però, c’è la realtà. La dura realtà. Genova non fa differenza. In questi giorni, Pietro Piciocchi e Silvia Salis (li cito in rigoroso ordine alfabetico) inseguono la conquista della principale poltrona di Tursi e fra l’altro si impegnano in una dura polemica sul futuro del commercio.
I conti delle famiglie non reggono
Il casus belli è l’annunciata chiusura della Giglio Bagnara. Una brutta tegola per Genova e in particolare per Sestri Ponente, che vede pure andare in fumo ventinove posti di lavoro. Ma è davvero una fine inattesa? E quanta credibilità ha la presunta battaglia sui piccoli negozi? Facciamo due conti. Chi lavora, se gli va di lusso guadagna 1.500 euro netti al mese (e basta pure con il lordo, che un cristiano non ci si raccapezza!). Altrimenti sono 1.200 euro oppure 1.000. E anche di meno. Come nel caso di moltissimi pensionati. Se le famiglie sono bireddito tanto quanto, se sono monoreddito è una tragedia.
Elenco in ordine sparso: il mutuo per la casa, oppure l’affitto, le bollette di luce, acqua e gas, qualcosa per il telefono e altre spese mensilmente fisse (anche se magari si paga semestralmente, come ad esempio l’assicurazione dell’auto). Quello che resta, e resta ben poco, serve per mangiare e per gli “imprevisti”.
La vera differenza la fanno i prezzi
In queste condizioni si pensa che le famiglie italiane, fra cui quelle genovesi, possano andare nel piccolo negozio e comprare frutta e verdura di qualità, per non dire le primizie? O il prosciutto tagliato di fresco o il pesce appena pescato? Oppure, ancora, per camicia, pantaloni, cravatta, gonna, camicetta e via citando? I prezzi sono più alti e non per colpa, beninteso, dei negozianti: tra le materie prime, le spese fisse, la burocrazia, le tasse e un minimo margine di guadagno non può essere altrimenti. Così in maggioranza chiudono.
In fondo, e non è neppure un negozietto, è quanto accade alla Giglio Bagnara. Il cui amministratore delegato, Enrico Montolivo, con onestà intellettuale osserva: “Il mondo è cambiato, il mondo del commercio è cambiato completamente”. Della serie: siamo certi che sia principalmente colpa dei supermercati? Anzi, bisogna cominciare a dire: meno male che ci sono i supermercati!
Non si faccia psicosociologia d’accatto per cui i poli commerciali diventano centri di aggregazione negativi rispetto ad altri. Quando qualcuno occupa uno spazio è perché quello spazio è stato lasciato libero. Guardando alle città italiane, dove sono gli “altri” punti di aggregazione, salvo rare eccezioni? Senza dimenticare, poi, che pure quelli dei grandi magazzini sono lavoratori. La verità è che le famiglie tirano la fine del mese proprio grazie ad essi. Basta fare un giro al loro interno per avvedersene. Sebbene soggiacciano a una dura concorrenza: nei generi d’uso sempre più spopola internet. Compri risparmiando il 20, il 30 e anche il 50 per cento: o uno è scemo o si adegua. Soprattutto se vi è costretto.
Le difficoltà e la delusione
Costretto? Sì, costretto. Perché come dicevo le retribuzioni e le pensioni sono ai minimi. Non ci sono, purtroppo, ricette miracolose. Se le persone non guadagnano di più i consumi interni sono penalizzati, in particolare quelli relativi ai piccoli negozi, il Pil non cresce e il Paese si avvita in recessione. Le aziende perdono da mesi sia in produttività sia, se si parla di industria in senso stretto, in termini di ricavi. E lasciamo stare il decremento demografico, con Genova primatista europea: ormai siamo a due pensionati per un lavoratore, quindi fra un po’ il sistema previdenziale non sarà più sostenibile.
Nel 2034, secondo gli ultimi dati, a Genova potrebbero non esserci più aperture di attività. In questa storia, dunque, non c’è niente di semplice. Però è ora di finirla con le polemiche strumentali, buone soltanto per provare ad accaparrarsi dei voti. Se i negozietti muoiono è perché la maggioranza degli italiani non può permettersi di varcare la loro soglia. Poi, certo, c’è chi può. Ma è una minoranza: ricchi, sempre più ricchi e tuttavia sempre di meno.
C’è poi chi ritiene che si debba puntare sul turismo e sulle opere che possono portare a Genova e in Liguria migliaia, anzi milioni, di persone. Anche adesso “qualche” vacanziere arriva: ma sono tutti con il portafoglio a fisarmonica, pronti a spendere? Ascoltando gli stessi commercianti, parrebbe proprio di no.
Non capisco, allora, perché la politica non abbia il coraggio di dirlo e di prendere delle contromisure vere. Se esistono. Se non esistono, beh vorremmo saperlo. Altrimenti bisogna concludere che nel migliore dei casi è andato smarrito il legame con la realtà. Oppure che si dice la qualunque in perfetta malafede, mentendo sapendo di mentire. E allora non è incomprensibile che poi tantissimi disertino le urne. Non è bene, ma non è incomprensibile.