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di Michele Ispodamia*

Il nuovo Disegno di Legge, approvato dal Consiglio dei Ministri - su proposta dei Ministri della giustizia, dell’interno, per la famiglia, e per le riforme istituzionali – si propone di introdurre il delitto autonomo di femminicidio all’art. 577bis del codice penale, con pene severe e modifiche procedurali per rafforzare la tutela delle vittime di violenza di genere.

Col reato di femminicidio viene punito con l'ergastolo chi uccide una donna per motivi di discriminazione, odio di genere o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà. Se vi sono attenuanti, la pena non può comunque scendere sotto i 15 o 24 anni, a seconda delle circostanze.

Appare immediatamente evidente come questa norma risulti oggettivamente superflua, poiché non introduce alcuna reale novità né in termini di tutela né sotto il profilo sanzionatorio. Infatti, le aggravanti già previste dall'ordinamento portano alle stesse pene, rendendo l’introduzione del nuovo articolo ridondante e priva di un’effettiva utilità giuridica.

Oltre ad apparire inutile, il nuovo reato potrebbe risultare anticostituzionale per un duplice ordine di motivi. In primo luogo, il nuovo delitto pare violare il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, introducendo una tutela differenziata sulla base del genere della vittima. Inoltre, appare in contrasto con il principio di tassatività e determinatezza della norma penale di cui agli articoli 1 cod. pen. e 25 Cost., poiché la formulazione dell’articolo 577-bis lascia spazio a interpretazioni soggettive su cosa costituisca un omicidio motivato dalla volontà di reprimere “l’espressione della personalità” della vittima: concetto fumoso e non determinabile.

Non può passare inosservata la scelta della data di approvazione del Disegno di Legge: il 7 marzo, alla vigilia della Giornata Internazionale della Donna. Il ministro Nordio ha definito questa norma «un risultato epocale, una grande svolta», ma appare piuttosto come un’operazione di facciata, una misura simbolica dal forte impatto mediatico ma priva di reali effetti sulla prevenzione della violenza di genere.

E’ però vero che si deve assolutamente porre mano alla materia, per prevenire la piaga sociale della violenza di genere, ma a tal riguardo lo Stato dovrebbe investire in una profonda riforma culturale e sociale. Serve un cambiamento strutturale che promuova il rispetto della donna, educando le nuove generazioni alla parità di genere e all’eliminazione degli stereotipi. Invece di introdurre nuove norme simboliche, sarebbe più efficace intervenire direttamente nelle scuole, e nella società. Un impegno concreto in questo ambito, anziché un approccio puramente repressivo, garantirebbe un cambiamento culturale duraturo e una reale uguaglianza tra i cittadini, senza la necessità di misure legislative differenziate tra uomini e donne.

 

*Michele Ispodamia, avvocato

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