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di Luigi Leone

 

 

Un filo unisce gli ultimi quattro pontificati di Santa Romana Chiesa. In principio fu Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani. Era arcivescovo di Venezia, ruppe cerimoniali e abitudini consolidate in San Pietro, sconfisse Giuseppe Siri, che arrivava da Genova come il più papabile. Il suo regno fu tra i più brevi, appena 33 giorni, e stando ad alcune indiscrezioni sarebbe stato proprio suo il voto assegnato durante quel Conclave a Karol Wojtila.

Questi fu il successore di Luciani e non casualmente si chiamò Giovanni Paolo II. Ha portato avanti il terzo pontificato più longevo e che cosa abbia “combinato” Karol è persino inutile ricordarlo. E’ divenuto Santo il 27 aprile 2014 e da politico consumato tenne in scacco tutti i suoi avversari, più giusto sarebbe chiamarli nemici, fondando la sua azione proprio sulla rottura con il passato.

In fondo lo stesso comportamento che ebbe Benedetto XVI, Papa Joseph Ratzinger, il quale certo è stato decisamente più conservatore e attento alle tradizioni della Chiesa e tuttavia si è reso autore di un gesto che non aveva precedenti da quel gran rifiuto di Celestino V, sette secoli prima: le dimissioni.

Dopo è arrivato Jorge Bergoglioil primo a chiamarsi Francesco. Attento all’ambiente e ai diritti delle persone (indelebile resta quel “chi sono io per giudicare” a proposito dei gay), si è battuto per gli umili, per gli immigrati, per la pace. Plasticamente ha riempito di contenuti il nome che scelse, quello del poverello di Assisi. Sarebbe un errore, però, leggere il suo operato utilizzando gli occhiali con i quali siamo soliti guardare le cose della politica.

La politica, anzi, in questa circostanza mostra una volta di più il proprio volto peggiore, ricorrendo a una inaccettabile strumentalizzazione, come se si potesse stabilire che Bergoglio era di destra o di sinistra. Né l’una cosa né l’altra, ovviamente. Francesco è stato divisivo sui temi più scottanti e scomodi. Una dimostrazione viene dal premier d’Israele Benjamin Nethanyau. Il Papa non giustificò mai il vile assalto del 7 ottobre 2023 contro gli inermi israeliani, ma non esitò a chiamare con il suo nome – genocidio – la reazione fuori misura del governo ancora in carica in Israele, che non si limita a colpire i terroristi di Hamasma sta facendo tabula rasa dei palestinesi.

La semplice verità è che la Chiesa da oltre duemila anni ci ha abituato ad essere fuori dagli schemi, quelli buoni per catalogare le vicende politiche un po’ in tutto il mondo. Solo che quando guardiamo i Pontefici le cose sono diverse. Anche perché nella scelta del successore di Pietro ha parte pure l’imponderabile: i credenti, a partire dai cardinali riuniti in Conclave, lo chiamano Spirito Santo. Ovviamente non sono in grado di affermare se esista o meno (poi ciò che penso non credo interessi a nessuno), ma è sicuro che le questioni politiche – definendo così gli schieramenti fra le berrette rosse – ad un certo punto cedono il passo.

Ora che i funerali di Francesco si sono celebrati, l’attenzione è tutta rivolta al Conclave e al suo esito. Coloro che hanno diritto al voto sono assai meno di coloro che nei giorni precedenti potranno dire la loro e condizionare l’esito delle votazioni. Uno è il cardinale Angelo Bagnasco, già arcivescovo di Genova ed ex presidente della Ceiè fuori dai votanti e dai papabili per superati limiti di età e tuttavia è ascoltatissimo dai “colleghi”. Non potrebbe avvenire, dunque, un Conclave senza che le posizioni espresse da Bagnasco abbiano il loro peso. E così in molti altri casi simili.

Capiremo di più quando si conoscerà il successore di Francesco. Magari un conservatore, magari un progressista, per stare alle definizioni abituali. O forse un radicale, forse uno più tendente alla mediazione. Di sicuro, ancora una volta sarà un Papa fuori dai nostri schemi.