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di Tiziana Oberti

GENOVA - I messaggi e l'angoscia. Marina, Irina, Viktoria, Costantino e Ugo sono il mio contatto diretto con l'Ucraina. Ogni messaggio su whatsapp o facebook non letto o senza risposta per ore fa scattare un'inquietudine che non riesco a spiegare. Un'ansia neanche paragonabile a quella di chi è ucraino e ha ancora la famiglia lì sotto le bombe o tra i carrarmati ma abbastanza per farmi vivere sul filo del baratro...la voce rotta dal pianto nei messaggi vocali, il senso di insicurezza, la paura per i propri figli, le poche parole scritte nel terrore di vedere i cellulari scaricarsi. Il buio dei seminterrati, le code ai supermercati semivuoti, ed è come se qualcuno mi stritolasse lo stomaco.

Marina, Irina, Viktoria, Costantino, Ugo non sapevo chi fossero prima della guerra, li ho conosciuti nel periodo peggiore della loro vita, in guerra, attraverso dei messaggi su un cellulare.

Con questa strenua resistenza il mondo si è ricordato della storia del popolo ucraino, non deve sorprendere, ma a me sorprende.

Le donne ucraine, in patria, ma anche quelle che abbiamo incontrato qui nella nostra regione per raccontare la guerra sono due volti di una stessa medaglia: da un lato fortissime, dall'altro fragili con occhi pieni di lacrime per i propri figli, amici, fratelli.

La forza delle donne ucraine in pochissimi messaggi, nei vocali, nella paura di Kharkiv ormai quasi completamente distrutta. La gioia, quel senso di liberazione, da condividere con chi mi sta intorno per il messaggio ricevuto proprio da lì, magari dopo ore e ore, perché nelle situazioni di difficoltà i rapporti vanno dritti nel profondo soprattutto se chi ti scrive è sotto i bombardamenti, in guerra, in una città sotto assedio.

La mente cerca di non pensare troppo alle immagini che arrivano dai circuiti internazionali ma anche da alcuni video che gli ucraini in Liguria mi girano e ho deciso di non mostrare in tv per rispetto delle vittime, ma quei corpi dilaniati e quelle urla che non sono umane le porto con me.

Gli ucraini ancora bloccati nella loro terra hanno cambiato negli ultimi giorni anche la loro comunicazione: hanno paura di essere controllati, chiedono di non scrivere il proprio cognome, non mandano video "perchè potrebbero denunciarmi", c'è la caccia all'infiltrato, alla spia russa.


" ...tutti ascoltano tutti sanno è pericoloso" mi scrive Marina da Kharkiv. Un messaggio insperato che arriva dopo quasi 20 ore e dopo un appello straziante mandato a un genovese. (ASCOLTA L'APPELLO)
Un filo debolissimo che si tiene vivo con qualche parola ogni tanto.

Guardo il cellulare e quando ricevo un messaggio dall'Ucraina il cuore va in gola e leggo, rileggo, riascolto il vocale per cercare di fissare nella mente quello che è incomprensibile e cioè che quelle parole mi arrivano da chi è in una cantina diventata casa, da chi sente suonare le sirene da giorni, persone che fino a 10 giorni fa vivevano una vita simile alla mia.

Quando leggo i messaggi che mi scrivono o ascolto gli audio con la loro voce rotta dal pianto mentre mi raccontano la distruzione di Kharkiv o la paura per i propri figli, o quando mi raccontano di famiglie uccise in macchina mentre scappavano, di bambini oncologici costretti a fare di corsa le scale al suono delle sirene, mi assale un senso di nausea perchè io una guerra così 'in diretta' non l'ho mai vissuta.

Qualcuno potrà dire ipocrisia dell'oggi quando i bambini siriani sono sotto la neve nei campi profughi o le ragazze afgane sono tornate a nascondersi sotto il burka, vero, verissimo.

Ammetto che anche io, come molti, sono presa dalla centrifuga della vita di oggi e non mi fermo abbastanza a pensare alle tragedie del mondo.

Oggi questo filo diretto con l'Ucraina attraverso soprattutto alle donne con il cuore dilaniato per il proprio paese, per i mariti o fratelli a combattere, per i figli da salvare mi sono entrati nel cuore.

Così come le donne e gli uomini ucraini qui a Genova, i loro occhi, il senso di appartenenza, la partecipazione a quell'atrocità che sembrava impossibile.


Piangono tanto le donne ucraine, ma sono delle colonne delle famiglie in questo momento. Sono loro che camminano sotto la neve al freddo per chilometri per arrivare alla frontiera con la Polonia o la Romania o la Slovacchia o la Slovenia. Sono loro che devono in qualche modo raccontare la guerra ai più piccoli cercando di non distruggere completamente la loro infanzia. I loro occhi si illuminano solo al grido Slava Ukraina, Gloria all'Ucraina.

Mi chiedono preghiere da Kharkiv, ogni messaggio finisce con "speriamo sentirci presto".
Se ti fermi a pensare che quello smartphone simile al tuo in realtà è tra le mani di chi è al buio, in un seminterrato, da chi sente le bombe sempre più vicino e le sirene suonare il corpo e la mente si paralizzano. Come ora.

Le donne ucraine sono una forza fragile come un ossimoro, non mollano, combattono cercando di portare in salvo i figli, restando, parlando per quello che si può della situazione per far conoscere a tutti quello che sta succedendo. Le donne ucraine sono però lacrime subito asciugate, sono gli occhi di chi non capisce, perchè la guerra non si può capire è solo atrocità.

Chissà Marina da Kharkiv come sta, domanda che so retorica ma chiedermi se è ancora viva fa male anche se la conosco da tre giorni solo attraverso messaggi.

Le donne ucraine combattono con quello che possono per tenere in piedi famiglie divise, cuori dilaniati per un marito, un fratello, un figlio in prima linea a combattere, al massacro.

Loro resistono con modalità diverse in base alle città, alle possibilità e noi dobbiamo essere con loro, io con alcune di loro ho questo sottile filo che è angoscia, senso di colpa e impotenza.

Le donne ucraine, la loro forza, è quella che le porta in un paese straniero come l'Italia a fare le badanti, lasciando la famiglia per cercare un futuro migliore per i figli. Non lasciamole sole e non solo a parole, non solo i primi giorni come spesso accade in Italia e non solo.

Come successo per il crollo del Morando sono voci, lacrime, parole che mi sono entrate nel cuore. È una angoscia, come ho scritto all'inizio, non paragonabile a quella di nessun ucraino ma è entrata in me.

E mentre sto scrivendo questo commento, dopo 12 ore di silenzio da Kharkiv, compaiono sul mio cellulare una serie di messaggi:


"Lascio Ukraina"
"Provo andare in Italia"
"Con mia mamma e mia figlia"
"Ho passato il confine"
"Sono in Polonia"


Tra un messaggio e l'altro le foto e i video della distruzione di Kharkiv e della sua fuga poche ore prima, della cantina diventata casa per oltre 11 giorni che solo a guardarla trasmette il gelo.

Marina è riuscita a lasciare sana e salva Kharkiv, una delle città più bombardate dell'Ucraina, ora è in viaggio verso l'Italia e a me in mezzo a tutta questa atroce follia mi sembra un piccolo grande miracolo.

 

 

 

 

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