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di Luigi Leone

Sarebbe una notizia da prime pagine in tutto il mondo se un gruppo di cittadini di Barcellona si lamentasse del rumore eccessivo e chiedesse la chiusura della Rambla. Oppure il trasferimento altrove della sua vita serale e notturna. Ora, Genova non è Barcellona, ma è pur sempre la sesta città d'Italia. E sarebbe una notizia da prima pagina se la movida del suo centro storico venisse cancellata e spostata. Perché il centro storico genovese è unico in Europa, per la sua vastità e per la sua connotazione, fatta di vicoli che ogni fine settimana - ma durante l'estate praticamente ogni sera - si animano soprattutto grazie ai giovani.

Un sondaggio di Primocanale dice che per il 62 per cento dei genovesi la questione di sicurezza e rumore che sarebbe posta dalla movida riguarda i residenti del centro storico. Ne prendo atto. Così come vorrei capire che cosa significa - lo invoca circa il dieci per cento, sempre secondo lo stresso sondaggio - l'esigenza di un dialogo fra la popolazione e la movida. Un dialogo? Ma fatemi il piacere, obietterebbe il grande Totò.

Io per circa dieci anni ho abitato nel centro storico di Genova e ho convissuto, dunque, con la movida. Sono rientrato a casa a qualsiasi ora e non mi è mai accaduto nulla. Significa che il problema della sicurezza non esiste? Ovvio che no. Ma neppure, fatemelo dire con franchezza, bisogna farla così grossa. Qualche cretino ci sarà sempre. Ma i cretini non sono una prerogativa del centro storico genovese.

Di più. Il termine movida è mutuato dal linguaggio spagnolo e fa riferimento, in origine, al movimento sociale e culturale sorto subito dopo la caduta del franchismo. Poi movida ha perso quel tipo di significato e ha teso, e tende, a rappresentare l'animazione e il divertimento, in particolare notturno, che si svolge nelle città di tutto il mondo. Anche a Genova, dove la movida nei vicoli è diventata una vera attrazione turistica, come l'Acquario, il Porto Antico, le ville patrizie, via Garibaldi, via Venti Settembre, Palazzo Ducale, le magnifiche chiese, i forti e via elencando.

La cosa riguarda soprattutto i giovani. Molti di coloro che hanno casa qui tendono a colpevolizzare, per non dire criminalizzare, i ragazzi e le ragazze che fanno le ore piccole, chiacchierando, bevendo, ascoltando musica, affollando bar e ristoranti.  A volte eccedono e tutti gli eccessi vanno perseguiti, tanto più se costituiscono un pericolo. Ma eccedono anche quanti si affacciano dalla finestra e urlano il loro diritto "alla tranquillità". So di cosa parlo, ci ho litigato più di una volta con queste persone, che alla fine facevano più casino di coloro contro i quali si scagliavano.

Il che ci porta alla conferma che Genova, purtroppo, non è una città per i giovani. Se non sa offrire loro buone ragioni per rimanere, può mai pensare addirittura di attrarne degli altri? E come si pensa, nel capoluogo ligure, di attirare un torinese, un milanese, un parmense, un fiorentino, un romano, un francese, un tedesco, uno spagnolo? Eliminando la movida dai vicoli, preliminarmente inventandosi un surreale dibattito politico per il suo trasferimento?

Semmai, servono più sicurezza, più controlli, più attenzione affinché la vita notturna nel centro storico sia quel che deve essere, cioè un momento di evasione e di condivisione aperto, senza problemi. Per questa ragione forse sarebbe meglio dibattere sul ruolo delle diverse istituzioni che dovrebbero badare agli altri e, invece, sembrano autoreferenzialmente ripiegate su se stesse. Al di là del bla-bla politico, non sono per niente certo che venga fatto il necessario per mettere in sicurezza la movida. 

 

Allora, soprattutto adesso che Genova è in campagna elettorale per scegliere il futuro sindaco, chiediamo che "chi di dovere" si preoccupi di ciò, non di scorciatoie come cancellare la movida dal centro storico e spostarla (sic) altrove. Ammesso che sia possibile, sarebbe come se Genova rinnegasse se stessa. Non è mai una bella cosa.

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