Il destino italiano de 'Il giardino dei ciliegi' è sempre stato un po' anomalo, quasi si trattasse di un testo in qualche modo 'maudit': un sicuro capolavoro della storia del teatro mondiale, scritto da un autore tra i più rappresentati in assoluto, sottile e inesorabile interprete di vizi e debolezze dell’umana natura, si porta dietro nel nostro paese -tra snobismo e timore- la nomea di opera ‘difficile’ e dunque da frequentare con giudizio, operazione compiuta in passato con meticolosità quasi certosina. Del dramma di Cecov tornano alla mente la versione di Visconti, quella di Strehler che lanciò una giovanissima Monica Guerritore e in tempi relativamente più recenti una a firma di Gabriele Lavia dove Guerritore che era stata la tenera Anja con Strehler interpretava invece la madre Ljuba.
Adesso 'Il giardino dei ciliegi' torna in scena – al Teatro Modena di Sampierdarena fino al 12 marzo – in una versione adattata e diretta da Rosario Lisma, anche interprete, che la definisce 'travolgente' nella quale ha ridotto a sei il numero dei personaggi che nell'originale erano una dozzina: “Ho cercato di concentrare l'attenzione sulla trama principale. In realtà è un adattamento di Cechov che cerca di essere molto fedele al testo originale prendendosi qualche libertà drammaturgica. Mi ci sono approcciato con amore folle e grande rispetto nei confronti non solo dell'autore ma anche di chi lo ha attraversato negli ultimi decenni. Ho studiato moltissimo anche gli allestimenti altrui, poi messi da parte per cercare di connettermi con ciò che l'autore voleva mettendo in luce il fatto che questo testo, sempre recitato in modo molto crepuscolare, decadente o malinconico, in realtà è anche divertente con un umorismo che non disinnesca la tragedia ma piuttosto la esalta”
In realtà Cecov, almeno nelle intenzioni, volendo affrontare i nuovi fermenti che all’inizio del Novecento agitavano una Russia che sentiva “irrequieta come un alveare”, mirava a creare qualcosa di diverso e - appunto - divertente, “senza nemmeno un colpo di pistola”. Il risultato è magari differente da quel che originariamente si aspettava ma vola comunque alto nei cieli della poesia narrando la vicenda di una famiglia aristocratica che vive con noncuranza e negligenza il suo triste declino economico: una metafora che sottolinea la fine di tutta una società e un crocevia esistenziale tratteggiato con uno stile affatto personale, ricco di dettagli, sfumature e atmosfere che si legano magicamente insieme a formare il poderoso ritratto di un’epoca.
IL COMMENTO
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