Cultura e spettacolo

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di Dario Vassallo

Ognuno ha la sua storia di formazione e il cinema ne ha raccontate tante. A volte si traduce in qualcosa di universale, come è accaduto a Kenneth Branagh in ‘Belfast’, a volte rimane circoscritta ad una sfera del tutto personale. E’ la via scelta da James Gray in ‘Armageddon time’, titolo che si rifà sia ad una canzone del giamaicano Willi Williams che i Clash portarono al successo nel 1979, sia ad una frase pronunciata da Ronald Reagan l’anno dopo durante la campagna elettorale che lo avrebbe portato alla presidenza degli Stati Uniti facendo riferimento ad un ipotetico giorno del giudizio che sarebbe arrivato una volta eletto.

Il film si svolge appunto nel 1980 e la storia è raccontata dal punto di vista di Paul, giovane ragazzo di una famiglia di origine ebraica che vive nel quartiere newyorchese del Queens. Dopo aver fatto amicizia con Johnny, un compagno di classe afro-americano, i due diventano inseparabili, anche quando il destino interviene a dividerli. Johnny scappa di casa per evitare un affidamento dovuto alle difficoltà della nonna con cui vive a prendersi cura di lui mentre Paul verrà mandato dalla famiglia in un’esclusiva scuola privata frequentata solo da bianchi. Imparerà dal nonno il pesante passato dei suoi antenati, prima di vedere che il razzismo e l'intolleranza prendono spontaneamente nuove forme ai suoi tempi. La sorte dell'amico di colore, condannato a restare dietro i cancelli della scuola in cui viene mandato, o in una casetta da giardino per sfuggire ai servizi sociali, cristallizza le divisioni politiche e razziali di un Paese che si considera l'ultimo modello di democrazia. Sta nascendo il nuovo ideale: quello di un capitalismo disinibito, annunciato dall'arrivo di Reagan.

La grande forza del cinema di James Gray si trova da sempre nell'intimo, si pensi a ‘Little Odessa’ o ‘Ad Astra’: i suoi personaggi, presi dal destino, dalle scelte o dalle loro ricerche, cercano di sanare le ferite dell'esistenza e seguire una linea d'azione di fronte al codice imposto dal loro ambiente. E’ quanto accade anche in ‘Armageddon Time’ che oltre ad essere una storia di formazione è soprattutto una storia di maturazione attraverso una crescita che comporta una presa di coscienza delle ingiustizie del mondo. Come accade al Truffaut de ‘I 400 colpi’ o al Woody Allen di ‘Radio days’, Gray intraprende un lavoro di ricostruzione attraverso la memoria e il racconto si concentra su questa impresa molto proustiana dell’edificazione del tempo perduto attraverso esseri, luoghi e sensazioni.

Un film tanto amaro quanto gentile, tanto freddo nei suoi aspri richiami alle crudeltà della vita americana quanto caldo nei confronti delle persone care che ci siamo lasciati alle spalle. Intriso di nostalgia, malinconia, deja vu, tristezza e dolore. La sua forza sta nel fatto che ci trasporta in un tempo e in un luogo che parlano direttamente al nostro presente. E se pure è ispirato dai ricordi d'infanzia del regista ha comunque qualcosa da dire a chiunque insegue il sogno americano, o qualsiasi sogno attratto dall'orbita nostalgica dell'America.