Vincitore dell’ultima Palma d’oro italiana a Cannes (2001, 'La stanza del figlio'), il che lo pone nell'Olimpo dei registi di casa nostra accanto a quelli che hanno conquistato nel tempo questo stesso premio, tra i più prestigiosi al mondo (Rossellini, De Sica, Castellani, Fellini, Visconti, Germi, Antonioni, Petri, Rosi, i Taviani e Olmi), Nanni Moretti è forse l'unico regista della sua generazione che può concedersi il lusso di fare i film che vuole quando vuole, senza sottostare alla benché minima legge di mercato. Ha perfino tenuto nel cassetto per un anno Tre piani aspettando che la tenaglia del Covid si allentasse per poterlo fare uscire in sala e non nelle piattaforme tv. Regista politico, senza dubbio, ma anche intimista e in definitiva cineasta molto concreto la cui regia è essenziale fino al limite estremo.
Una carriera iniziata nel 1973 quando vendette la sua collezione di francobolli per comprare una Super8 con la quale girò la pellicola (poi gonfiata nei 16 mm) che tre anni dopo lo fece conoscere, Io sono un autarchico, protagonista quel Michele Apicella, cognome rubato alla madre, che diventerà il suo alter-ego per alcuni anni. Fu con Ecce bombo (1978) che entrò definitivamente a contatto con pubblico e critica, un cult presentato a Cannes che con ironia e affetto mostrava gli aspetti grotteschi della sua generazione. Da allora i suoi film, non tantissimi, quattordici in quarantasette anni, in un verso o nell'altro hanno sempre fatto parlare di sé, tanto che non è un caso che ogni sua novità sia un evento per il cinema italiano, come è successo anche per 'Il sol dell'avvenire', da una decina di giorni in sala prima di volare sulla Croisette dove rappresenterà in concorso l'Italia insieme a Marco Bellocchio e Alice Rohrwacher. E una dichiarazione d'amore nei confronti del 'cinema-cinema', quello che va sul grande schermo e non in tv, che lo vede nei panni di un regista che al di là del lavoro - un film sui fatti d'Ungheria del 1956 - attraversa una situazione famigliare complessa, tra i contrasti con la moglie e gli amori della figlia. A Genova per presentarlo al pubblico, Moretti ha concesso un'intervista esclusiva a Primocanale.
Comincerei brevemente con la genesi, non so se complicata ma certamente particolare.
"E' stata un pò lunga perché qualche anno fa volevo fare un film tutto ambientato nel '56, però non mi è riuscito e allora ho rimandato. Ho girato 'Tre piani' e poi sono tornato su quel nucleo volendo però raccontare anche il regista di quel film. E così è nato 'Il sol dell'avvenire'.
Con i suoi classici tic e le tante idiosincrasie che mostra mi è sembrato un po una summa del suo cinema.
"Speriamo non un testamento".
Diciamo una summa. Impossibile non cogliere le molte auto-citazioni: le scarpe e la Nutella di 'Bianca' che diventano sabot e gelato, la Vespa di 'Caro diario' che si trasforma in un monopattino... E nella bellissima scena finale compaiono attori che l'hanno accompagnata in questi anni: Cantarella, Bonaiuto, Lazzarini, Sastri, Trinca e tanti altri ancora... Ho letto che lei lo vede come la conclusione di una parte di carriera.
"Una primissima fase della mia carriera. Volevo chiudere questa primissima parte e poi... Vede, quando ero più giovane mi ero inventato una formula per le interviste. Però poi, dopo qualche decennio non è più stata valida. Dicevo 'vorrei fare sempre lo stesso film, possibilmente sempre più bello'. Vabbè, l'ho detto, forse l'ho anche fatto, però ora passiamo ad altro"
E la seconda fase come sarà?
"Non so, vediamo, spero di essere il primo a esserne sorpreso".
In questo film, rispetto agli ultimi che ha girato, torna ad avere una centralità come personaggio, mostrandoci tre vite: quelle di un regista, di un marito e di un padre. Lo ha pensato così?
"Non è che quando penso a un film, in questo caso insieme a tre sceneggiatrici, dico: allora, deve essere questo, questo e quest'altro. La realtà è che più passano gli anni, più amo fare questo lavoro. Però più passa il tempo, meno so spiegare bene le scelte del mio lavoro. Faccio un esempio: l'uso delle canzoni. Tanti anni fa Adamo, Battiato, Gino Paoli, in questo film De André, di nuovo Battiato, Tenco... Mi ricordo che quarant'anni fa ero molto bravo a teorizzare sul ruolo delle canzoni nei miei film. Non sono più capace, purtroppo non ricordo cosa dicessi allora perché se no pari pari lo ridirei oggi. Però non mi ricordo, quello che ricordo è che ero molto convinto e convincente. Oggi, ripeto, non dico che quando lavoro cado in trance ma amo molto tutte le fasi: scrittura, preparazione, riprese, montaggio, elaborazione delle musiche e missaggio. Amo tanto questo lavoro ma non riesco più tanto a teorizzarci sopra".
C'è una frase che lei pronuncia nel film: mi piace dire che al pubblico non ci penso, ma non so se è vero. Quanto c'è di reale in questa frase del filmmaker Moretti?
"C'è di vero che io non pretendo di conoscere i gusti del pubblico. Ci sono tanti produttori, registi, sceneggiatori che dicono: questo è l'umore del pubblico. No, io purtroppo no. Anzi, dico che per fortuna i gusti del pubblico non li conosce nessuno. Se io devo pensare al pubblico, ecco, penso a delle persone sconosciute tra di loro che stanno al buio in una sala e vedono immagini enormi, molto più grandi di loro. Questo è il pubblico a cui penso. La realtà è che nonostante tutti i lamenti sul pubblico che diventa sempre di meno poi invece, quando ci sono i film, la gente al cinema ci va"
Però è anche vero che lei fosse l'unico regista in Italia che si può permettere il lusso di fare film quando vuole e come vuole.
"Non è che sia proprio così, magari ci sono produttori, sceneggiatori e registi che hanno mollato un pò, mollato l'investimento psicologico, emotivo e professionale per quanto riguarda i film in sala e quindi, non so quanto volentieri, ai sono consegnati alle piattaforme. Le piattaforme vanno bene per le serie, i film si devono fare per il cinema".
Senza voler spoilerare nulla (qui Moretti mi corregge: 'svelare', mi dice, evidentemente spoilerare non gli piace n.d.r.) con la scena finale lei sancisce la vittoria del cinema sulla politica. Dice 'la storia non si fa con i se' ma dimostra tutt'altro.
"E' la vittoria del cinema ma anche dell'amore. Non sveliamo troppo ma è un finale in cui tantissimi si sono commossi. Mi fa piacere persone che dicono: ho riso e poi ho pianto, poi ho di nuovo riso e di nuovo pianto. E' una bella cosa"
Con che spirito va a Cannes?
"I film italiani belli ci sono sempre stati e sempre ci saranno così anche bravi registi, attori, sceneggiatori e produttori. Però quello che uno trova quando va in Francia e che manca in Italia è la cura intorno al cinema. Ecco, in Francia si prendono cura del cinema sia come fatto industriale che come fatto artistico e questo è molto importante".
L'ultima cosa che le volevo chiedere è cosa vorrebbe che gli spettatori portassero con sé quando escono dal film?
"Emozione e sorpresa".
IL COMMENTO
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