Politica

Soddisfazione da parte della deputata di Noi Moderati, coordinatrice regionale della Lista Toti Ilaria Cavo, nonché giornalista professionista: "È la vittoria del buon senso"
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di Giorgia Fabiocchi

ROMA - Arrivano novità da Roma, dopo le polemiche divampate nei giorni scorsi sul carcere per i giornalisti, all'interno del Ddl Diffamazione. La proposta è arrivata dal senatore ligure di Fratelli d'Italia Gianni Berrino, che ha scatenato le reazioni sia di maggioranza che di opposizione. "FdI ha presentato un ddl per eliminare la pena detentiva per il reato di diffamazione per garantire maggiormente la libertà di stampa". Si tratta di una svolta che era attesa da tempo ma che nessuno nel partito di Giorgia Meloni aveva tradotto in provvedimenti. 

"In linea con la sentenza della Consulta, avevo presentato due emendamenti per garantire la piena tutela delle persone offese da meccanismi di 'macchina del fango' - spiega in una nota il senatore di FdI Gianni Berrino -. La necessità di procedere con celerità all'approvazione del ddl sulla diffamazione, mi ha convinto a ritirare gli emendamenti che in ogni caso, alleggerivano sensibilmente le pene attualmente previste". 

Soddisfazione da parte della deputata di Noi Moderati, coordinatrice regionale della Lista Toti Ilaria Cavo, nonché giornalista professionista, che da subito si era detta contraria alla proposta del suo ex collega di giunta. "È la vittoria del buon senso, noi per primi ci eravamo espressi nettamente contro la previsione del carcere fino a 4 anni ai giornalisti per il reato di diffamazione - dichiarano il presidente di Noi Moderati Maurizio Lupi e Ilaria Cavo -. Ora apprendiamo che sono stati ritirati gli emendamenti che lo proponevano: una scelta in linea con quanto avevamo chiesto nello spirito di tutelare le vittime della diffamazione ma anche una categoria professionale importante, come quella dei giornalisti, su cui si era già espressa la Corte Europea per i Diritti dell'uomo (chiedendo proporzionalità nelle sanzioni ed escludendo la detenzione) e di conseguenza la nostra Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione". 

 

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