Genova è una città bellissima, ma triste e isolata. E i segni evidenti di questo emergono dalla campagna elettorale in cui da una dozzina di candidati-sindaco prevalgono più progetti di "no" che di "sì", gli stop piuttosto che le accelerazioni, il proposito di disfare quello che è stato fatto invece che spingere perché si faccia di più. Gli esempi di questa tendenza al mantenimento della tristezza e dell'isolamento spuntano dagli opposti schieramenti che chiedono il no alla Gronda autostradale e il no alla Moschea. Un niet fisico e un niet culturale che sono poi la conseguenza l'uno dell'altro. Isolati da Milano, Roma, Torino e l'Europa. Isolati dalle altre culture, fra l'altro culture che stanno dentro il dna della nostra storia di città-porto.
Il dibattito di lunedì alle 21 al Teatro della Corte (trasmesso dalle 21.30 su Primocanale) servirà a capire anche come ci vedono "da fuori". Direttore e vicedirettore de Il Fatto quotidiano, Antonio Padellaro e Marco Travaglio, intervisteranno i candidati alla prima poltrona di Palazzo Tursi. Segno del valore di test nazionale di questo appuntamento elettorale che per noi genovesi (e per gli spezzini) ha un forte significato locale, ma per gli altri va ben oltre diventando un esame di metà percorso per centrodestra e centrosinistra, per valutare il consenso (o no) nei confronti del governo Monti oggi in evidente difficoltà, per verificare se effettivamente c'è voglia di un partito di centro, se gli scandali hanno minato le radici leghiste, se il Movimento 5 stelle sta soffiando consensi a Di Pietro.
In mezzo a tutti questi codici di lettura ci sta Genova, mai così bella, mai così triste. Una città che ha sfruttato bene nel recente passato le tre occasioni del Cinquecentenario della scoperta dell'America (1992), del G8 (2001) e della Capitale europea della cultura (2004) per rimettersi a posto, disegnando il suo futuro fisico con il porto antico di Renzo Piano, l'Acquario e il Museo del Mare, il recupero di via San Lorenzo, l'apertura del centro storico intorno alla facoltà di Architettura, il recupero di piazza De Ferrari e via Garibaldi, l'Isituto italiano delle tecnologie.
Poi tutto è finito e dal pensare in grande si è precipitati al piccolo cabotaggio, accampando la scusa che non ci sono i soldi. Ora abbiamo davanti a noi alcuni nodi decisivi che hanno bisogno di "sì" convinti e non di opzioni zero o contestazioni da cortile.
Cominciamo da qualche sì dunque.
La Gronda. Pensavamo che tutto fosse ormai deciso: tracciato e tempi. Un anno di débat public non è servito a niente e lo scopriamo adesso. Ci dicono che se non si farà finiremo soffocati dalle migliaia e migliaia di tir che ogni giorno entrano ed escono dal porto e incrociano il traffico cittadino, mettendo i genovesi in coda dalle 7 del mattino.
Ci dicono che il tracciato è quello meno offensivo e invasivo e in ogni caso attendiamo i responso del Via, la valutazione di impatto ambientale.
Il porto. E' l'unica grande industria che ha Genova, uno dei dieci porti più importanti d'Europa, tra i primi cinquanta del mondo secondo una notizia pubblicata domenica sull'edizione genovese di Repubblica. Il presidente Merlo afferma convinto che senza Gronda non c'è futuro. E noi stamo ancora a dissertare sull'opzione zero? Anche quando sappiamo che i miliardi stanziati dalla Società Autostrade possono essere utilizzati solo per quest'opera e non potranno mai essere dirottati su altre soluzioni?
Ci dicono che è impossibile dirottare molto traffico su ferrovia, soprattutto nelle piccole e medie tratte. Che un traffico ferroviario spinto al massimo potrebbe togliere a quello su gomma non più del dieci per cento.
Sono queste tutte balle di menti folli? Di speculatori? Di mafiosi che vogliono mettere le mani sui possibili cantieri?
Certo che ogni grande opera è la forma di formaggio per il crimine affaristico, ma non può essere questo rischio a fermare la crescita di una città. Ci sono buoni amministratori in mezzo ai mascalzoni e una magistratura che deve sempre di più tenere gli occhi aperti.
No alla Moschea? Perché? Una bella moschea serve ad aprire la mente. E' il segno di un'apertura culturale verso il Mediterraneo dove ci stiamo noi come i paesi delle nuove democrazie nord africane. Una moschea è anche vitalità se inserita nel posto giusto a fare da volano.
Dunque sì alla Moschea. E sì alla facoltà di Ingegneria dentro la città vecchia, magari dentro il porto per creare in una parte di centro storico oggi ancora degradato e in mano al micro-crimine un grande campus studentesco tra i vicoli, subito dietro i moli, alle spalle dell'Acquario e della Stazione Marittima, a fianco alla facoltà di Economia.
Infine, l'ultimo sì lo vogliamo spendere per il progetto di water front disegnato alcuni anni fa da Renzo Piano e dimenticato con un' incredibile operazione bipartisan di cancellazione collettiva.
Era un'idea su cui discutere, ma le forze politiche hanno preferito liquidarla con la scusa dell'immensità presunta dei costi. Senza capire che un progetto firmato da Piano è capace anche di attirare anche interesse economici.
Basta per ora, anche se credo che oguno di noi abbia molti altri sì da proporre ed augurarsi. Grandi e piccoli. Utili a farci meno tristi e cupi, meno bui e invidiosi e finalmente, a liberare Genova non dai poteri forti che non ci sono, ma dalle clientele che fino ad oggi, con i loro veti invidiosi hanno trasformato questa città in un'isola irraggiungibile. E non in un'isola felice.
Politica
L'occhio del "Fatto" su Genova isolata e triste
4 minuti e 42 secondi di lettura
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