"Non voglio dare un giudizio critico sul film. Quello che mi sento di dire è che ha il merito di tenere viva e alta la memoria della vicenda umana e di alto significato politico di mio padre che ha fatto da spartiacque in quegli anni nella lotta alle Brigate rosse". A parlare è Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, sindacalista dell'Italsider di Genova ucciso il 24 gennaio del 1979 dalle Br a cui il film di Giuseppe Ferrara, regista e sceneggiatore, presentato ieri in anteprima nel capoluogo ligure, è dedicato. Ma "Guido che sfidò le Brigate rosse", pellicola che rientra tra le iniziative collegate al centenario della Cgil e che vede tra i suoi attori protagonisti Massimo Ghini nel ruolo di Guido Rossa, Anna Galiena nelle vesti della moglie Silvia, Gianmarco Tognazzi in quello di Roberto-Riccardo Dura, capo della colonna Br genovese che uccise il sindacalista, secondo Sabina Rossa, sedicenne all'epoca dell'omicidio ed oggi senatrice Ds, ha anche la qualità di poter diffondere ad un pubblico più ampio la vicenda di suo padre. E sul piano politico piace anche alla Cgil: "Con questo film sono stati raggiunti gli obiettivi per i quali ci eravamo impegnati" spiega Beppe Casadio. Tuttavia, come spiegato dallo stesso produttore, Carmine De Benedittis, il film ancora non ha un distributore. "Sono in attesa di una risposta che dovrebbe arrivare a giorni -ha detto- altrimenti ci affideremo ai circuiti regionali indipendenti". "Il rapporto con Sabina Rossa, che ho inserito nei titoli come consulente della sceneggiatura, è stato molto stretto fin dal primo giorno -spiega Ferrara- Con lei ho condotto le indagini che stanno alla base del testo. Ho visto la sua grandissima voglia di capire perché avevano ucciso suo padre e poi leggendo il suo libro mi sono molto commosso. Quella era un'altra chiave possibile per la realizzazione del film, quella di una figlia che vuole capire i perché". Il film, un po' faticoso nella sua parte iniziale che fotografa l'escalation serrata di violenza degli anni di piombo, riesce nel suo complesso a far emergere la grinta del sindacalista, consapevole fino infondo delle sue scelte anche quando significano isolamento ("Rossa spia" qualcuno scrive sui muri della fabbrica suscitando l'ira dell'uomo per essere stato accomunato in qualche modo alle Br), e "che con la sua morte riesce a fermare le Br", come dice lo stesso Ferrara. La pellicola culmina infatti con la denuncia da parte di Rossa, unico firmatario, del postino delle Br Francesco Berardi, alla quale segue il processo conclusosi con oltre quattro anni di carcere. Il sindacalista, lasciato solo dai suoi compagni, tre mesi più tardi viene ucciso dal brigatista Riccardo Dura, di cui il film segue l'attività terroristica in parallelo agli episodi salienti della vita di Rossa. "Aldo Moro è stato un martire della borghesia. Guido Rossa, un martire del proletariato", afferma Massimo Ghini che racconta di aver parlato con i compagni di fabbrica del sindacalista che gli hanno "dato delle lezioni di vita e di come si viveva il rapporto con l'officina", per calarsi nella psicologia di questo personaggio, amante delle montagne, sceso tra la gente per compiere il suo sacrificio. (Ansa)
Cronaca
PRESENTATO IL FILM SU GUIDO ROSSA
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