Un mito, il Comandante Sbragi, anche grazie a quel carattere toscano e bonario che gli era rimasto nonostante fosse arrivato a Genova giovanissimo. Era un piacere ascoltare le sue storie, sempre avventurose, spesso divertenti, a volte drammatiche. C’era la volta che si era levato in volo nonostante la chiusura dello spazio aereo per scattare le prime foto dall’alto della Firenze devastata dall’alluvione. C’era la volta che il motore lo aveva piantato in asso, ed era ammarato al largo di Genova, aspettando i soccorsi in mezzo alle onde. C’era la volta che, a Parigi, si era infuriato con il controllore di volo che gli aveva chiesto di lasciare la precedenza a un Concorde. C’era la volta, ed è una storia che ha fatto il giro del Mondo, che è decollato affiancando un aereo da turismo il cui pilota aveva avuto un malore; via radio aveva spiegato come atterrare ai passeggeri, giovanissimi, e loro ce l’avevano fatta.
Una passione enorme, appunto. Eppure il cielo non è stato sempre generoso con il Comandante “Fiore”. Il figlio Carlo, che aveva ereditato lo stesso amore del padre, era morto in un incidente aereo ad appena 19 anni. Ma il richiamo dell’aria ha prevalso su tutto, e il Comandante Sbragi è rimasto ai comandi fino all’ultimo, perché la cosa più importante era staccare l’ombra da terra. Senza, non avrebbe potuto vivere.
IL COMMENTO
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