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Avra' pensato sicuramente alla 'Fiera delle vanita'', Paolo Sorrentino, mettendo in cantiere 'La grande bellezza', film con il quale torna su sentieri a lui piu' noti dopo la parentesi americana di 'This must be the place'. Ma anche di certo alla 'Dolce vita' di Fellini e perfino, perche' no?, alla 'Notte' di Antonioni tratteggiando il ritratto malizioso e cinico, eccessivo e disturbante, cattivo e fin troppo letterario di una Roma cafona e pacchiana, fragile e barocca vista attraverso gli occhi di Jep Gambardella, giornalista che ha il volto di Toni Servillo, che come un moderno Virgilio ci fa da guida in un Inferno che ha I colori e i toni della vita stessa.

Nel suo girare per le strade di una citta' da cartolina ma sempre deserta, nel suo peregrinare continuo da una festa all'altra, comprese quelle che organizza a casa sua e nelle quali non mancano neppure suore in odore di santita', nel suo incontrare una poliedrica fauna di personaggi nei confronti dei quali prova tenerezza e disprezzo nello stesso tempo, fragili e inetti, autodistruttivi e falsi, supponenti e disincantati, c'e' l'inesorabile tramonto di un intero mondo nel quale alla vitalita' della via Veneto di felliniana memoria si sotituisce la solitudine e la ricerca di un disperato anelito di eternita' destinato ad andare inesorabilmente deluso.

Detto questo, la via di Sorrentino per dimostrare il suo assunto rimane sempre in bilico tra realismo, impressionismo e grottesco senza prendere una decisione precisa, troppo ricca di citazioni e personaggi talvolta ridotti a semplice macchietta (vedi quello interpretato da Carlo Verdone) e tuttavia - se pure mancante di profondita' - non priva di un suo fascino indolente e paradossale per quanto immersa in un eccesso di citazioni e imbevuta di una colonna sonora spesso debordante. Tagliandone poi una ventina di minuti si poteva arrivare a confezionare un film piu' sobrio ma la sobrieta' non e' la principale caratteristica ne' della pellicola ne' del suo autore. (Dario Vassallo)