politica

3 minuti e 51 secondi di lettura
Tutti dicono di no a un governo che sopravviva su un gruppo di pidiellini dissidenti. E questa è anche la posizione del principale partito italiano, il Pd, per bocca del suo segretario, Guglielmo Epifani. Ma tutti sanno che l’ipotesi è tutt’altro da scartare, considerando le incognite che si aprirebbero sul futuro immediato del Paese nel caso in cui l’esecutivo guidato da Enrico Letta andasse a casa e non fosse possibile sostituirlo, aprendo la strada all’ennesima tornata elettorale. Neanche un anno dopo l’ultimo appuntamento con le urne. La tattica di queste ore, così, prevede dichiarazioni trancianti che in seguito, invece, potrebbero lasciare spazio alla realpolitik.


Per questo c’è chi sta già facendo un po’ di conti e sotto traccia ha cominciato le grandi manovre per verificare davvero i numeri su cui può contare Letta. Secondo fonti parlamentari i piediellini pronti a rinnovare la fiducia al premier in questo momento sarebbero almeno 15, che potrebbero arrivare fino a 25. Parliamo del Senato, il punto cruciale di tutta la vicenda e non a caso la prima camera dove Letta, dopodomani, pronuncerà il suo discorso per verificare se esistono le condizioni per andare avanti. A sommarsi con l’appoggio degli esponenti di centrodestra in dissenso con Berlusconi c’è un’altra eventualità e cioè che Sel “faccia la sua parte per senso di responsabilità". Come? Certo non votando un esecutivo che neppure avrebbe voluto veder nascere, ma consentendo che vada avanti: uscendo dall’aula e quindi abbassando il quorum. Perché? Anche nel partito di Niki Vendola c’è chi considera che la crisi di governo, nata com’è nata, sia peggiore, per gli effetti che potrebbe scatenare sul presente e sull’immediato futuro del Paese, che tenere in piedi un esecutivo giudicato comunque negativamente. Insomma, lo spettro che l’Italia finisca commissariata da Ue, Fondo monetario e Banca centrale europea – eventualità evocata dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi - fa più paura che “subire” ancora Letta a una parvenza di larghe intese.


Le grandi manovre, dunque, sono in corso e su tutto pesa la variabile non indipendente di un Presidente della Repubblica che non ha alcuna intenzione di sciogliere le Camere e mandare l’Italia al voto. Lo ha detto con una certa chiarezza, affermando che se Letta dovesse essere sfiduciato verificherà in ogni caso se in Parlamento esistono i numeri per salvare la legislatura. E qui lo scenario si complica. Letta, infatti, nel discorso che terrà alle Camere sembra intenzionato ad andare giù duro nei confronti di Berlusconi, pronto a subire il voto contrario e quindi a far emergere tutta la responsabilità del Pdl nel lasciare il Paese senza un governo. Per converso, è disposto ad andare avanti se di fatto riesce a spaccare i berlusconiani e a portare a casa un numero di voti sufficiente a tirar dritto almeno fino al 2015. Non sarebbe disponibile, invece, a rimanere al suo posto se la fiducia passasse per un pugno di voti.


Ma sul punto è in dissenso con il Capo dello Stato, che al contrario non vede l’ora di tenere l’esecutivo in sella. E questo spiega perché, al di là delle dichiarazioni tattiche, si sta lavorando all’opzione principale, cioè un Letta che riceva un via libera consistente al Senato. Anche perché, se il governo rimanesse a cavallo per due-tre voti, il cerino passerebbe fra le dita del Pd e toccherebbe ai democratici assumersi, eventualmente, la responsabilità di far saltare tutto.


Un’ipotesi che, ovviamente, non dispiacerebbe a Berlusconi, il quale alla riunione dei gruppi parlamentari ha provato a rimettere le cose a posto dopo il dissenso esploso fra i ministri Pdl, anche se questi hanno confermato e formalizzato le loro dimissioni. "Ho deciso da solo" ha detto il Cavaliere ai parlamentari, aggiungendo:  "Dobbiamo spiegare ai nostri cittadini le nostre ragioni. Forza Italia non è una forza estremista e nessuno mi ha costretto. I panni sporchi si lavano in casa – ha sottolineato velenosamente verso Alfano and company – ma le polemiche coi ministri sono rientrate dopo il chiarimento di oggi. C'è unità d'intenti, loro temono che le dimissioni facciano perdere consenso: hanno ragione, ma ora è superato. Dobbiamo restare uniti, non dobbiamo dare all'esterno l'impressione che sta dando il Pd". L’impressione, però, è che sia solo maquillage. Nel Pdl le acque restano agitatissime.