Il 16 aprile dello scorso anno venne sottoscritto con grande enfasi un protocollo d’intesa che varava un nuovo schema partecipativo dei sindacati alle scelte strategiche di Finmeccanica.
A neppure un anno di distanza, però, tra Fim, Fiom e Uilm e il gruppo guidato da Gianni De Gennaro e Alessandro Pansa è calato il gelo. Oggetto del contendere, che spinge le organizzazioni sindacali dei metalmeccanici a giudicare che “quell’accordo è stato disdettato” unilateralmente, il modello organizzativo e operativo che la holding ha varato nei giorni scorsi per presidiare al meglio il core business, cioè le attività di Aerospazio, difesa & sicurezza (pur con l’esclusione delle joint venture internazionali del settore spazio e difesa, della controllata americana DRS Technologies e di Fata, oltre che del segmento trasporti, destinato dismissione).
L’accusa mossa dai sindacati è che Finmeccanica non li abbia informati in anticipo, mentre l’azienda fa sapere che la comunicazione è stata fornita durante la riunione del consiglio che ha adottato il provvedimento, quindi in tempo reale, e che le scelte sono il naturale proseguimento del piano strategico, condiviso, presentato nel 2013. E’ chiaro, però, che ben altro fuoco arde sotto la cenere e due argomenti si stagliano su tutti: il deconsolidamento del settore cosiddetto civile da una parte e, dall’altra, i problemi di rappresentanza/relazioni che per Fim, Fiom e Uilm potrebbero avere nell’ambito delle controllate. Ma andiamo con ordine.
La scelta di rinunciare anche ai trasporti, dopo quella analoga fatta con l’energia, nasce dall’evidente esigenza di stare sul mercato dell’Aerospazio, difesa & sicurezza con più forza (competitività), in modo coordinato e con risorse adeguate, non più disperse in tanti rivoli che non consentirebbero a nessun settore di crescere come necessario.
In passato la focalizzazione su “Ad&S” sarebbe stata una scelta miope, poiché avrebbe impedito a Finmeccanica di beneficiare degli effetti anticiclici della sua struttura di grande conglomerata, per cui la flessione del militare veniva compensata dal civile e viceversa. I tempi, però, sono radicalmente cambiati: Finmeccanica non ha più denaro a sufficienza per coprire gli enormi investimenti necessari a supportare lo sviluppo delle sue aziende nelle diverse aree di business (da qui il grande punto interrogativo sul destino di Ansaldo Sts se rimanesse nel perimetro del gruppo) e maggiori risorse non possono certo venire dal governo azionista, che fatica a realizzare operazioni certo più urgenti come la riduzione del cuneo fiscale e delle tasse. E’ finita l’epoca delle società partecipate dallo Stato che svolgevano anche un ruolo di “ammortizzatore sociale” e di “salva aziende” al crac (per tutti basta ricordare l’esempio genovese della Marconi) e, stando così le cose, sarebbe dunque un errore imperdonabile se il top management di Finmeccanica insistesse nel non “cambiare verso” - per usare uno slogan caro al premier Renzi - e non puntasse sulla sua vera forza: appunto Aerospazio, difesa & sicurezza. Sono le cifre a dirlo. Nella suddivisione dei ricavi per area di business, i traporti pesano per il 10%, l’elettronica per la difesa per il 33, gli elicotteri per il 25, aeronautica per il 17, i sistemi di difesa per il 7 e lo spazio per il 6%. Ma ancor più interessante è andare a vedere il posizionamento internazionale di Finmeccanica in alcuni di quei singoli settori. E’ terza negli elicotteri (dietro Eurocopter e Sikorsky), quarta nell’aeronautica (ha davanti Spirit, Triumph e Gkn), quinta nello spazio (dietro Lockheed, Astrium, Boeing e Northrop) e ottava nell’elettronica per la difesa presidiata da Selex Es, con un importante polo genovese (davanti ha Lockheed, Northrop, Raytheon, Thales, General Dynamics, L-3 e Bae Systems).
La scelta della focalizzazione fatta da Finmeccanica poggia dunque su una base solida e risponde, inoltre, alle logiche imposte da un settore nel quale l’Italia ha corso il rischio di rimanere marginalizzata se, neanche due anni fa, fosse andata in porto la fusione Eads-Bae Systems. Allora il Paese si strappò i capelli per aver visto esclusa Finmeccanica dalla partita che Berlino, Londra e Parigi provarono a giocare alle spalle di Roma e oggi è solo un gesto di saggia prudenza mettersi nelle condizioni che il rinnovarsi di un simile evento trovi pronto e partecipe il nostro campione nazionale.
La crescita avvenuta nel decennio 2002-2012 ad opera di Finmeccanica è stata ragguardevole (i ricavi sono passati da 7,7 a 17,2 miliardi, il portafoglio ordini da 21,7 a 44,9 miliardi), ma c’è anche il peso di un indebitamento diventato enorme (da 249 milioni a 3,3 miliardi) ed esso stesso impone scelte radicali.
Come – in attesa dei dati di bilancio dei quali il consiglio di Piazza Montegrappa si occuperà giovedì 19 marzo - il nuovo modello organizzativo varato dalla holding, che la allinea al processo già avviato dai principali competitori. Il giudizio dei mercati finanziari, su questa e sulle precedenti mosse compiute da Pansa, è positivo, considerando che nell’ultimo anno il titolo ha guadagnato oltre l’80%, ma da solo non basterebbe a promuovere ciò che andrà ad accadere da qui ai prossimi mesi (il tragitto è ancora lungo).
La cosa buona, semmai, è che Finmeccanica abbia deciso di esercitare un controllo strategico sulle aziende che stanno a valle della holding, con il dichiarato obiettivo di conseguire una maggiore efficacia nella gestione del portafoglio prodotti dei singoli business e un migliore posizionamento sul mercato globale attraverso una gestione coordinata, tra capogruppo e società operative, delle attività relative al prodotto, ai mercati, all’esecuzione degli ordini e al service. Tutto ciò non può essere considerata una bestemmia, anche se comporterà un parziale sacrificio dell’autonomia delle controllate e se porterà i sindacati, ecco l’altro punto dolente, a dover trattare più con la capogruppo che con le singole realtà aziendali, subendo una conseguente perdita di potere, giusto per chiamare le cose con il loro nome e senza infingimenti.
Proprio il patto del 16 aprile 2013, tuttavia, può essere il grande paracadute di Fim, Fiom e Uilm. Quello strumento, infatti, può diventare l’ambito per discutere direttamente a livello più elevato anche questioni legate a specificità territoriali. Si accorcerà la catena e ne guadagneranno l’efficacia e la trasparenza. Se quei corto circuiti del passato, quando intese di massima raggiunte a livello locale venivano poi bocciate a livello centrale. Anche per le divisioni fra i sindacati stessi o per le profonde divergenze fra ciò che i sindacati sostenevano su base locale e ciò che perseguivano a Roma.
economia
Modelli organizzativi e crescita, ecco la nuova sfida di Finmeccanica
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