economia

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Sembra un paradosso, ma non è cosi’. A dispetto delle analisi di tutti gli attori liguri e degli innumerevoli quanto sterili appelli e dibattiti pubblici (l’ultimo promosso da Confindustria Genova a Palazzo Ducale) e riservati (l’ultimo ospitato a Villa Campostano dal presule di Genova), ormai noiosamente proposti attraverso i diversi media alla pubblica opinione dai soliti Soloni di ogni parte, sulle cose da fare in Liguria per generare occupazione e valore economico, l’unico fatto concreto che arriva a Genova e arriva subito, una volta tanto, è il lavoro per un valore di 100 milioni di euro per demolire la Concordia, ossia per “disfare” una cosa. Altro che “fare” il terzo valico, la gronda, gli Erzelli.

Roma locuta, e come sempre accaduto nella storia almeno degli ultimi cento anni, Genova sapientemente è pronta a cogliere l’attimo fuggente e, soprattutto, all’azione perche’ non ha mai tradito se stessa, il proprio DNA, la propria vocazione andando dietro a improbabili sirene di mestieri per lei estranei o di mediocri provocazioni socio-culturali, fattispecie sulle quali è consapevole di non poter competere, in parte anche per scelta legata alla sua natura schiva, avendo solcato nei secoli tutti i mari della terra e incontrato tante culture diverse.

Genova, silenziosamente, ha sempre tenuto ben teso l’orecchio a Roma e alle domande del Paese, e in ogni occasione possibile è riuscita a interpretarle al meglio da protagonista, raccogliendone frutti copiosi. Le ricche commesse dello Stato Italiano per navi e armi da guerra all’Ansaldo all’inizio del ‘900, le commesse dell’IRI di Alberto Beneduce degli anni ’30 e ’40 per motori elettrici, treni e automobili, le commesse delle Partecipazioni Statali fino a quella che potrebbe essere chiamata la “Genova da bere” degli ultimi anni ’70, sono solo tre testimonianze di tale capacità di ascolto sapiente e paziente. Genova ha colto le occasioni ma, Machiavelli docet, raramente ha avuto gli uomini all’altezza per farlo.

Basti citare la straordinaria circostanza storica dei tre personaggi giganti e per giunta in aree strategiche complementari: in ordine alfabetico, Angelo Costa, Giuseppe Siri e Paolo Emilio Taviani. Qualsiasi confronto con i corrispondenti attori di oggi non solo è improponibile culturalmente, ma è pure privo di carità da un punto di vista umano: sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Eppure, nonostante ciò, Genova, pure nel suo superbo isolamento, è riuscita ad attrarre la ricchezza della Concordia, anzi ha proprio costretto alla resa addirittura un premier toscano con la forza dell’evidenza di una inossidabile cultura di un saper fare costruita nel tempo su salda roccia al punto da includere il capitolo della cultura del disfare. In questo tempo, si può ben dire che Genova riesce a essere attrattiva e a soddisfare se stessa disfacendo cose.

Ma tutto ciò non deve apparire banale: si tratta di disfare cose complesse, e per raggiungere il risultato occorre saper fare come disfare. Gli uomini del Porto, lo sanno bene: dalle loro mani è stata costruita nella storia la ricchezza reale di Genova, e il caso della Concordia è a dimostrare che ancora oggi è cosi’. Chissà se i nani di oggi, riusciranno a raggiungere almeno l’adolescenza culturale, e a offrire ai giovani di Genova e della Liguria il segno valoriale di una - pur rinnovata - continuità con la storia, mostrando loro di avere colto il significato profondo della bella lezione offerta dal caso Concordia, per esempio cessando di proporre decine di improbabili tavoli tematici e riprendendo almeno una parvenza della forma mentis operativa dei tre citati giganti. Occorre che abbiano quel minimo di fiducia in se stessi in modo da attivare la speranza per operare quelle azioni proattive di carità che tutti i cittadini liguri si aspettano.