politica

È contenuto all'interno dello Statuto dei lavoratori
4 minuti e 9 secondi di lettura
L'articolo 18 è la norma principale sulla tutela del lavoratore in caso di licenziamento individuale. È contenuto all'interno dello Statuto dei lavoratori e dalla sua introduzione (1970) ad oggi ha subito diverse modifiche. Ultima e più incisiva quella apportata dalla legge Fornero del 2012.

LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO - È considerato discriminatorio il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dell'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad uno sciopero. Si parla di licenziamento discriminatorio anche quando la cessazione del rapporto di lavoro avviene in concomitanza con il matrimonio o la gravidanza del lavoratore.

In questo caso, l'articolo 18 prevede che il giudice dichiari nullo il licenziamento e ordini il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro. Oltre a ciò, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore. Quest'ultimo può chiedere, in alternativa alla reintegrazione, un'indennità pari a 15 mensilità. Questa norma si applica a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal numero di dipendenti.

LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA - Il licenziamento per giusta causa si ha in presenza di fatti così gravi da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto. Viene definito anche licenziamento “in tronco” perché non prevede un preavviso da parte del datore di lavoro. I giudici hanno identificato alcuni casi di licenziamento per giusta causa: ad esempio, la falsa malattia del dipendente, lo scorretto uso dei permessi, la falsa timbratura del cartellino e l'abbandono ingiustificato del posto di lavoro.

Se il giudice non riscontra gli estremi del licenziamento per giusta causa, l'articolo 18 prevede due tipi di sanzione per il datore di lavoro. Se il licenziamento è nullo perché il fatto non è avvenuto o perché è punibile diversamente, sono previsti il reintegro sul posto di lavoro e il risarcimento dei danni. Se la giusta causa non ricorre per altri motivi, non è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro, ma una indennità onnicomprensiva che il datore di lavoro deve versare al lavoratore. L'indennità è determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità di retribuzione.

Queste disposizioni si applicano solo ai datori di lavoro che hanno più di 15 dipendenti (o 5 in caso di imprenditori agricoli).

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO – Oltre alla giusta causa, i giudici hanno individuato un'altra forma di licenziamento: quello per giustificato motivo. Si parla di giustificato motivo soggettivo in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore. Si tratta di fatti meno gravi rispetto a quelli della giusta causa ed è infatti previsto un preavviso. Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo occorre, ad esempio, nei casi di insubordinazione del dipendente verso i suoi superiori o di assenza ingiustificata per oltre quattro giorni consecutivi.

Ci sono poi i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che ricorrono in presenza di ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Sono i licenziamenti che avvengono per ragioni di natura economica o tecnica.

L'articolo 18 prevede per il giustificato motivo soggettivo la stessa disciplina dei licenziamenti per giusta causa. Per quanto riguarda i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, l'articolo 18 statuisce che il giudice condanni il datore di lavoro al reintegro e al risarcimento quando la cessazione del rapporto di lavoro è avvenuta per l'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, per infortunio, malattia o gravidanza e nel caso in cui il fatto posto alla base del licenziamento non sussista.

In tutti gli altri casi, non è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro, ma una indennità onnicomprensiva che il datore di lavoro deve versare al lavoratore, che varia tra un minimo di 12 mesi e un massimo di 24 mensilità di retribuzione.

Anche queste disposizioni si si applicano solo ai datori di lavoro che hanno più di 15 dipendenti (o 5 in caso di imprenditori agricoli).

LA PROPOSTA DI RENZI – Il governo guidato da Matteo Renzi sta studiando un contratto a tutele crescenti. In definitiva, si tratterebbe di prevedere una crescita delle tutele del lavoratore in parallelo con l'anzianità di servizio. Il nodo centrale è proprio l'applicazione dell'articolo 18: secondo le indiscrezioni, la norma dello Statuto dei Lavoratori si dovrebbe applicare ai neoassunti solo dopo tre anni dall'inizio del rapporto di lavoro, per quello che riguarda i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo. Sarebbe da subito valida, invece, la tutela contro i licenziamenti discriminatori.

FAVOREVOLI E CONTRARI – I favorevoli al superamento dell'articolo 18 ritengono che questa norma abbia scoraggiato gli investimenti, perché renderebbe eccessivi gli oneri per i licenziamenti. Si ritiene, inoltre, che l'articolo 18 sia tra le cause del sottodimensionamento delle unità produttive italiane, in quanto i datori di lavoro preferirebbero non superare il limite dei 15 dipendenti per non rientrare nel campo d'applicazione dell'articolo. Chi è contrario ritiene, invece, che le modifiche alla norma sulla reintegrazione renderebbero il mercato del lavoro più precario e diminuirebbero il potere dei sindacati, sbilanciando a favore del soggetto più forte il rapporto tra datore e lavoratore.