“Stati generali della portualità e della logistica”. Il titolo dell’evento dava il senso della sua stessa rilevanza: il futuro dell’Italia che ha nel mare una fetta consistente della propria economia. Già i tempi fissati dal protocollo, però, la dicevano lunga sull’efficacia dell’appuntamento: dalle 11 alle 13. Poi, è vero, si sono dilatati. Ma anche le quattro ore malcontate durante le quali si è snocciolato il confronto spiegano da sole come si sia trattato solo di una “messa cantata”, buona per fare passerella e, al più, gettare qua e là qualche concetto utile alla bisogna. Che poi sarebbe la tanto attesa riforma del sistema portuale-logistico.
A cose fatte, cioè dette – ogni oratore nello spazio di quattro minuti o giù di lì – la conclusione che si trae è del vuoto cosmico. Coloro che hanno preso la parola hanno inevitabilmente declinato le aspettative legate al loro orticello e di sistemico s’è ascoltato davvero poco. Alla fine chi ha fotografato meglio la situazione è stato proprio il presidente dell’Autorità portuale genovese, Luigi Merlo: “Guardate, di parole ne abbiamo già fatte fin troppe, adesso si passi ai fatti. Dopo nove anni è l’ora”. Ed è andato oltre, Merlo: “Lo dico fino a spingermi di chiedere una decisione purchessia”.
Merlo sta virando verso l’epilogo del proprio mandato al vertice dell’Authority, ma il suo sfinimento descrive plasticamente quello di quanti invocano un po’ di concretezza e di cambiamento, che diamine. Non vorrei, però, che inconsapevolmente (?) il capo del porto di Genova avesse fatto un assist al ministro Maurizio Lupi. Il nulla emerso dagli “Stati generali della portualità”, infatti, può essere un buon argomento affinché il governo decida a prescindere da tutto e da tutti, cioè per conto proprio. E’ vero che una fase di ascolto c’è stata, ma ci sono elementi che non convincono. Come il ritorno di fiamma sul decreto dello Sviluppo economico che cancella le compagnie portuali e rivede il sistema delle concessioni e la loro durata, per cui i terminalisti che hanno fatto investimenti improvvisamente si vedrebbero cambiate le carte in tavola. Sembrava morto e sepolto, quel provvedimento a firma della ministra Guidi. Invece un gioco di prestigio, è lo stesso Lupi a dirlo, sembra averlo tenuto in vita, al punto da essere calendarizzato in un prossimo Consiglio dei ministri, forse già il 20 febbraio. Ma questo è pure il mese entro il quale Lupi dice di voler portare a casa la riforma. I tempi stretti piacciono, dopo gli anni trascorsi invano, ma non è un caso che Tirreno Bianchi, presidente della compagnia portuale Pietro Chiesa, senta odore di zolfo: “Oddio, abbiamo aspettato così tanto che magari venti giorni in più non sono la fine del mondo. Ma discutere il provvedimento in profondità, nei suoi aspetti più controversi, è indispensabile. Altrimenti si possono fare danni irreparabili”.
Quanto ciò sia vero lo declina un altro passaggio dell’intervento di Merlo: “Il caso Costa Crociere a Genova può aprire la strada a una valanga se non diamo alle multinazionali condizioni di investimento uguali a quelle offerte dagli altri Paesi”. Il problema è il sistema Italia e dentro di esso ci sta un sistema della portualità vetusto, ingessato, gestito con il criterio dei finanziamenti statali assegnati agli amici e agli amici degli amici. Magari alla faccia di Genova, che pure in questi di tempi crisi i traffici riesce ad aumentarli. Vero, all’ombra della Lanterna molto può ancora migliorare, a cominciare dalla cancellazione delle clientele politiche che finiscono per favorire sempre gli stessi o quasi. Ma comunque i conti non tornano se per qualcuno il porto di Augusta vale quello di Genova.
porti e logistica
Portualità, i conti non tornano
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