Un tempo era proprio questo il refrain dei giorni a cavallo tra gennaio e febbraio in un’Italia travolta dal boom economico, poi dalla recessione, impaurita dal terrorismo, esaltata dalla Milano da bere e dagli anni dell’edonismo reaganiano, che volava poi verso il nuovo millennio e l’euro. Ora, però, le cose sono cambiate a cominciare dal mondo al centro del festival, la musica.
Il mercato è in crisi, tra pirateria e costi troppo alti da sostenere per un pubblico travolto dalla crisi economica incipiente. Le forme di espressione sono molteplici e la tv, per esempio, non abbonda certo di buona musica(almeno in Italia). Anche le riviste di settore, un tempo “terrore” di certi cantanti, stanno sparendo, travolte dalle difficoltà di tutta la carta stampata.
Ma Sanremo è sempre Sanremo, anche se la gara “amata-odiata” dai cantanti, è molto targata “talent” (tra partecipanti e giudici sono una decina i reduci dalle trasmissioni tv che lanciano voci e volti nuovi) e di veri big in gara ce ne sono davvero pochi, da Alex Britti a Raf, dalla rediviva Irene Grandi alla stella dei paesi francofoni Lara Fabian.
Che sia poi cambiato tutto, o quasi lo testimonia anche la qualità degli ospiti stranieri musicali (gli altri, attori, sportivi, politici, sono soprattutto mezzi cattura audience). Quest’anno le stelle sono Ed Sheeran, molto amato dai più giovani, la drag queen Conchita Wurst, per gli over 40 i riscoperti Spandau Ballet mentre musicalmente, a mio giudizio, il fenomeno più interessante sono gli Imagine Dragons a patto che non svendano la loro innovativa vena rock a denaro e risvolti pop. Tutto qui. Ah no, c’è Biagio Antonacci: che, ovviamente, neppure prova ad avvicinarsi alla gara come, in altri tempi, fecero suoi illustri colleghi.
Ma rivedendo la lista dei superospiti stranieri degli ultimi 30 anni la nostalgia non può che essere canaglia (giusto per restare in tema sanremese nell’era della ritrovata unità Albano-Romina): all’Ariston ci sono stati i Queen(i Queen!!), i Dire Straits, i Depeche Mode, Elton John, Ray Charles, Sting, Whitney Houston, Joe Cocker, Tina Turner, Jamiroquai, Bruce Springsteen e molti altri.
Onestamente, il paragone non regge. C’è poi la tv: che continua a non fare concorrenza ma in realtà la fa perché Sanremo non si scontra frontalmente con le produzioni delle reti “avversarie” ma, in realtà, paga anche la maxi offerta che ormai i nostri televisori propongono. Ma il Festival si consola: anche la nazionale di calcio ai Mondiali ha visto precipitare il suo appeal.
Però non è banale dire “perché Sanremo è Sanremo”. Anche chi non lo segue davvero( o magari lo fa di nascosto..) ne parla, al bar, con gli amici, sui social network. E’ una specie di icona dell’italianità e le icone non si toccano. E allora, come avrebbe detto uno che di Festival se ne intendeva..”fiato alle trombe, Turchetti”!. Si va a incominciare…
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