salute e medicina

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Sabato 28 febbraio il Pd e la sua candidata alla presidenza della Regione Liguria, Raffaella Paita, raduneranno una sorta di think tank sotto l’ambizioso titolo “GenoVa Veloce”. Una politica dominata dagli slogan, dietro i quali si fatica a trovare qualcosa che somigli a un prodotto edibile per i cittadini, riesce a cadere nel ridicolo quando tenta di propinare un’immagine esattamente contraria alla realtà che vivono le famiglie e le imprese: se una cosa non fa, Genova, è proprio quella di andare veloce. Semmai, come dicono tutti gli indicatori, sociali ed economici, è ferma al palo. E grazie proprio alla gran parte di quei signori che tenteranno di rifilarci l’illusione di una città e di una regione che cambieranno passo.

Una regola della vita quotidiana è la credibilità, requisito minimo ma indispensabile per ottenere fiducia. Gli americani hanno cucito su misura per i candidati a qualsivoglia incarico uno slogan che, questo sì, declina la qualità del prodotto offerto al mercato dell’opinione pubblica: “Comprereste un’auto usata da questa persona?”. La metafora dell’auto usata è perfetta: chilometraggio, stato della meccanica, condizioni della carrozzeria, usura degli pneumatici e via elencando: a monte dell’acquisto c’è tutta una serie di verifiche che toccano al venditore.

Ora, comprereste un’auto usata dalla signora Raffaella Paita, che ha vinto primarie con il tachimetro taroccato, con la meccanica del sistema politico di cui fa parte marcia, lubrificata solo nelle parti che costituiscono gli interessi particolari di alcuni gruppi di potere (interno ed esterno), con la carrozzeria crivellata dai colpi di numerosi fallimenti, che però non sono stati raddrizzati nell’officina del cambiamento, bensì tappati con lo stucco e poi lucidati a nuovo?

Né un’auto nuova di trinca, né “usato sicuro”. E sono proprio curioso di vedere quali mirabolanti novità verranno sbandierate al tavolo di “GenoVa Veloce” sulla sanità, dopo l’ennesimo vergognoso provvedimento riguardante la salute dei cittadini. Dopo un faticoso tira e molla, polemiche intestine e schiaffi ripetuti al buon senso, il governatore Claudio Burlando ha imposto la regola che consentirà ai primari ospedalieri di svolgere la libera professione.
Non ho la competenza per entrare nel merito della decisione, ma posso osservare che se l’assessore competente, Claudio Montaldo, e un altro assessore, Pippo Rossetti, arrivano a votare contro, qualcosa non deve funzionare, tanto più considerando che Montaldo e Rossetti sono fra i maggiori conoscitori del settore. E se aggiungiamo che pure i direttori delle Asl si sono battuti per fermare la norma, allora i dubbi aumentano. Volendo avere un approccio laico, si può anche accettare di analizzare fino in fondo le ragioni addotte dal centinaio di primari (gli altri 250 circa non sono favorevoli) che rivendicavano mani libere, ma c’è una questione che va oltre.

E’ possibile prendere una decisione simile alla vigilia delle elezioni e contrabbandarla come “urgente”? Urgenti dovrebbero essere altre cose: risolvere l’annosa questione delle liste d’attesa anche per gli esami clinici più banali, la mancanza di strumentazioni o il loro utilizzo a scartamento ridotto, trovare un giusto equilibrio fra sanità pubblica e privata al fine di alzare qualità e quantità dei servizi, impedire la vergogna dei pazienti sbattuti sulle lettighe nei corridoi. Le emergenze sanitarie sono un rosario infinito, altro che fare un bieco e inverecondo regalo elettorale ai camici bianchi, il cui merito principale sembra essere quello di costituire formidabili macchine del consenso.

Attenzione, proprio qui sta l’altra furbata di questi magliari della politica. Il buon senso direbbe: se risolvessero i problemi della gente, prenderebbero lo stesso i voti. Anzi, di più. Ma il buon senso non ha più diritto di cittadinanza nei palazzi della politica, di certo non in quello della Regione Liguria. Catturare i voti attraverso i primari e i loro giannizzeri è una comoda scorciatoia, che tutela tutti gli interessi più o meno oscuri che si muovono dietro la sanità pubblica gestita in tal modo. Con l’aggravante del ricatto morale compiuto nei confronti di chi si trova nello stato di necessità più terribile, quello della salute.

Mi dicono, per contro: si tratta di applicare il contratto di lavoro e solo cinque Regioni in Italia fanno come faceva la Liguria, tenendo i primari vincolati alla loro struttura ospedaliera. Però fra questi enti, come opportunamente osserva il collega Guido Filippi in un commento sul Secolo XIX, “ci sono Toscana e Umbria, che hanno modelli sanitari vincenti”. Qualcosa significherà pure.

Invece il sodalizio Burlando-Paita va avanti tutta, perché i voti sono come i denari: non puzzano. Difatti alle primarie la Delfina se l’era presi tutti, compresi quelli poi annullati e che hanno finito per sporcare anche i buoni. Ma santiddio: le costava così tanto chiedere di fermarsi e di rimandare ogni decisione sui primari all’amministrazione futura, che lei aspira a guidare? Le costava così tanto uscirsene in modo cristallino, dicendo che siccome ci sono le elezioni si poneva una questione di opportunità e non avrebbe voluto dare l’impressione, nell’interesse degli stessi camici bianchi, di partecipare a una marchetta di bassissimo profilo? Qualcuno potrebbe obiettare che la pratica non le competeva, ma per il suo ruolo di principale candidata alla presidenza, ormai tutto ciò che accade in Regione Liguria la riguarda direttamente, al di là delle deleghe.

Invece niente. Forse per il terrore di vincere ma con la prospettiva di non riuscire a governare, se non conquisterà la maggioranza in un consiglio regionale che potrebbe risultare un Vietnam, diviso in tre-quattro-cinque tronconi. Lo stesso terrore che pervade il Pd, i cui vertici locali peraltro hanno abbozzato sull’argomento solo timidi distinguo. Eppure stanno disperatamente tentando di riconquistare al partito la fiducia dei liguri, e dei genovesi primi fra tutti, tanto che per “GenoVa Veloce” è stato mobilitato anche il vicesegretario nazionale Serracchiani. Qualcuno, però, avverta la soldatessa Debora: più che metterci la faccia, rischia di rimettecerla. Anche se da lei un’auto usata si può comprare.