Nell’era della globalizzazione, il problema non è il vessillo che sventola sul pennone di una grande e importante azienda. Che da oggi in poi la genovese Ansaldo Sts e la pistoiese Breda ammainino il tricolore e issino la bandiera giapponese può dispiacere dal punto di vista dei sentimenti. Ma siccome business is business farsene una ragione è d’obbligo. In più, l’acquirente Hitachi annuncia solennemente che “impianti e lavoratori saranno mantenuti, perché l’occupazione è un tema degli accordi”. Fino a prova contraria, dunque, al colosso nipponico va concesso il pieno beneficio della buona fede.
Nondimeno, la vendita di Ansaldo Sts e Breda è un problema. Grave. Per Genova, Pistoia e, soprattutto, per il Paese. Anzi, alla fine – se Hitachi manterrà i suoi impegni e non farà come altri, che si sono presi la polpa delle aziende acquistate e poi hanno mollato l’osso alle città – lo sarà soltanto per l’Italia. La cosa paradossale è che la spiegazione arriva da Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Finmeccanica, che controllava entrambe le aziende: “Sarebbe assurdo rinunciare a presidi importanti in un settore strategico come quello dei trasporti”. Appunto. Solo che Moretti parlava così quando era numero uno delle Ferrovie e provava a vederci lungo, immaginando come Fs, Breda e Ansaldo Sts potessero costituire una filiera economica importante, posto che le Ferrovie fanno andare i treni, Breda li costruisce e Sts è tra i leader mondiali del segnalamento.
Appena ha cambiato cappello, arrivando in Piazza Monte Grappa, Moretti si è però convertito alla logica della cessione. Nel suo ruolo ci sta, posto che ha l’onore e l’onere di rimettere in linea di galleggiamento Finmeccanica e dunque i soldi da qualche parte deve trovarli, posto che lo Stato, principale azionista del gruppo attraverso il Tesoro non può più elargirne per sostenerne lo sviluppo. E questo dà una ragion d’essere anche al fatto che Finmeccanica, già malmessa di suo, non può finanziare la crescita di Sts, che avrebbe avuto bisogno di risorse “per essere cacciatore e non preda” come amava ripetere il suo precedente amministratore delegato, Sergio De Luca.
Far finire le due Ansaldo nel carniere di Hitachi, o di un altro gruppo straniero, però non era un destino ineludibile. Bastava che il governo e in primis il Presidente del Consiglio Matteo Renzi abbozzassero qualcosa di simile a ciò che si chiama politica industriale. Immaginassero, cioè, uno scenario per il Paese che contemplasse fra gli snodi cruciali dei propri interessi, con annessi profili tecnologici (di cui le due aziende sono zeppi) e occupazionali, anche quello dei trasporti. L’esempio lo avevano lì sul tavolo, bell’e servito, addirittura dallo stesso Renzi infiocchettato, dopo che lo scatolone lo aveva riempito il suo predesessore Enrico Letta. Si chiama Ansaldo Energia. Rimasta in mano all’Italia grazie a un’efficace operazione con Cassa Depositi e Prestiti e oggi industrialmente alleata con un colosso, stavolta cinese, qual è Shangai Electric. Un modello che ha funzionato e che poteva funzionare anche nel caso di Sts e Breda, dando a Finmeccanica un tesoretto probabilmente poco inferiore a quello ricavato da Hitachi. E comunque facendo in pieno l’interesse del Paese. Perché delle due l’una: o a Parigi, Berlino e Londra sono tutti scemi oppure ci saranno ragioni ben concrete se quelle cancellerie non permettono in alcun modo che gruppi stranieri, anche europei, possano solo pensare di fare shopping in settori strategici come l’energia, i trasporti e via elencando. Ricordate la maxi-fusione Eads-Bae Systems che avrebbe potuto rivoluzionare il settore solo pochi anni fa? Non si fece perché non si misero d’accordo i due governi, mica gli amministratori delegati. Due domande. La prima: con quale credibilità un governo come il nostro chiama Costa Crociere a Roma e le chiede di non toccare nulla del proprio presidio genovese? La seconda: è così stupefacente che il capo della stessa Costa, Michael Tamm, dica di voler discutere del dimagrimento a Genova solo con i sindacati e di non gradire i politici, e la politica, a quel tavolo?
C’è infine, un singolare strabismo politico. Mentre l’esecutivo di Renzi dice di non volere strumenti di guerra e taglia le forniture degli F35 (tutti ricorderanno la furiosa polemica sull’argomento), dismette le aziende civili e concentra Finmeccanica sul militare. Per carità, è vero che tante tecnologie con le stellette tornano poi utili nella vita quotidiana delle persone. Ma è troppo chiedere che almeno non si venga presi in giro?
economia
La buona Italia in svendita
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