
Il primo e più significativo dato è quello del Prodotto interno lordo: quello Ligure ha segnato un -0,8%, con il calo dello 0.1% dell’area Nord-Ovest e una diminuzione dello 0,4% dell’intero Paese. Regione Cenerentola, dunque, che rivela la propria debolezza, inevitabilmente, sul versante occupazionale. In Liguria, infatti, gli occupati sono calati dello 0,7%, in netta controtendenza rispetto al Nord Ovest (+0,2%) e alla media nazionale (+0,4%). In valori assoluti, le persone che lavorano in Liguria sono 599.000, così suddivise: 13.000 in agricoltura, 76.000 nell’industria in senso stretto, 43.000 nelle costruzioni e 467.000 nei servizi (dove si comprendono commercio, assistenza alla persona e via elencando). Come a dire che il tessuto occupazionale ha profondamente cambiato pelle e, in molti casi, è reso più precario dalla stagionalità o dai picchi di richieste per particolari situazioni (nell’ultimo periodo, ad esempio, è esplosa la richiesta di personale da destinare alla gestione dei migranti). Il taso di disoccupazione va di pari passo: in Liguria è stato del 10,8%, ancora una volta peggio che nel Nord Ovest (9,3%), ma meglio della media nazionale (12,7%). Come nel resto d’Italia, però, il dato più brutto riguarda i giovani: quasi uno su due è senza lavoro.
Ma la cifra più eclatante e che probabilmente meglio fotografa la situazione in cui versa l’economia ligure viene dalla spesa pro capite delle amministrazioni locali (Regione, Province o città metropolitane, Comuni ed enti vari). La Liguria spende 3.733 euro per ogni suo cittadino, contro i 3.476 del Piemonte, i 5.594 della Lombardia, i 3.150 del Veneto e i 3.213 della Calabria. Ma la cosa grande è il grosso di queste cifre – vale per tutti, in realtà – è assorbita dalla spesa corrente, lasciando le briciole a quella per investimenti. In sostanza, prevale nettamente la spesa improduttiva. Per mantenersi, in poche parole, la burocrazia ligure costa come quella – quindi percentualmente assai più – di Regioni ben più grandi o che, vedi la Calabria, stanno in fondo alla classifica delle economie regionali.
Il neogovernatore ligure Giovanni Toti sta preparando la sua brava agenda per creare le condizioni della ripresa, ma non v’è dubbio che a fronte dell’istantanea scattata da Bankitalia la vera grande scossa debba arrivare al governo. Il premier Matteo Renzi ha promesso che cancellerà la Tasi e l’Imu sulla prima casa, mettendo mano entro il 2018 anche alla riduzione della pressione fiscale. Meno tasse, insomma. Intanto deve trovare un po’ di miliardi per impedire che scattino le clausole di salvaguardia – cioè l’aumento delle accise sui carburanti e, poi, dell’Iva – se il rapporto fra deficit e Pil dovesse pericolosamente toccare o superare il fatidico 3%. Ma va benissimo, meno tasse vuol dire più denaro in tasca agli italiani e, quindi, più possibilità che tornino a spendere, alimentando i consumi interni, che restano il principale propellente della ripresa. Il problema è che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E l’estate sta finendo…
IL COMMENTO
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