Quell'ominicchio in mutande che timbra il cartellino è l'immagine simbolo dello scandalo assenteismo al Comune di Sanremo. Non solo un comportamento truffaldino, ma un autentico sfregio al Paese, un'offesa all'esercito di giovani e meno giovani che quotidianamente vivono la svilente condizione di essere senza un lavoro.
Però un altro fotogramma dell'inchiesta "Stakanov" colpisce come un pugno allo stomaco: la dipendente che timbra tre, quattro, cinque cartellini di fronte agli occhi di alcuni colleghi. I quali appartengono alla schiera degli onesti. A loro è andata la subitanea solidarietà di chiunque non voglia fare di ogni erba un fascio e compia lo sforzo di ritenere che la pubblica amministrazione non sia fatta solo di fannulloni assenteisti. Tuttavia un però c'è.
Quell'immagine ci dice che l'onesta' è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Ad essa dovrebbe accompagnarsi un orgoglio di appartenenza alla "casa di tutti", un amore per la maglietta che avrebbe dovuto spingere alla ribellione coloro che assistevano allo "spettacolo" della timbratura multipla. Da quanto è dato sapere, non è accaduto. Gli onesti hanno fatto il loro dovere, ma anch'essi, come i dirigenti e la politica, si sono voltati dall'altra parte.
"Io faccio il mio, per il resto qualcuno ci pensi". Se la Finanza non fosse arrivata, quanto sarebbe durato ancora quello scempio? Ecco, è questo delegare agli altri la funzione del senso civico di intervenire che costituisce il primo ostacolo da rimuovere nel Paese. Declina un ritirarsi nel "mi faccio gli affari miei" che diventa reticenza, poi omertà e infine complicità. Non voglio fare l'elogio della delazione, ma non si possono neppure confondere le cose.
Non sostengo che dovesse scattare una denuncia - anche se questo sarebbe dovuto avvenire - ma quanto sarebbe stato bello vedere, almeno, gli onesti prendere per le orecchie quella "signora", strapparle e i cartellini di mano e redarguirla: "Ora la pianti li', altrimenti andiamo da chi di dovere".
Occorre un cambio di passo culturale, avere la piena consapevolezza che i primi guardiani della convivenza civile sono i singoli cittadini. Il che vale per questa nello specifico come per ogni altra bruttura quotidiana alimentata dal disinteresse individuale che sommandosi diventa collettivo. Occorre un cambio di passo culturale per smontare l'assurda idea che ha trasformato in una vacca da mungere tutto ciò che anche lontanamente ha la parvenza dello Stato, comprese le sue articolazioni periferiche.
La casualità ha voluto che lo scandalo di Sanremo fosse disvelato insieme con l'ennesima storiaccia di tangenti sulle opere pubbliche. In realtà un filo rosso e solido unisce le due vicende, entrambe figlie di un malcostume talmente diffuso e radicato da rendere molti protagonisti persino inconsapevoli del fatto che stavano commettendo dei reati.
È vero che il pesce puzza sempre dalla testa e dunque le responsabilità della politica sono tanto reali quanto innegabili. Ma mentre ci si interroga quali conseguenze subiranno le decine di dipendenti sanremesi infedeli, già smoccolando contro il rischio che finisca tutto o quasi a tarallucci e vino, bisogna anche domandarsi se non sia sempre più vero che la società politica è lo specchio della società civile. Corrotta l'una perché corrotta l'altra. Il che, sia chiaro, non significa che se tutti sono colpevoli, nessuno lo è. In realtà, è esattamente il contrario: nessuno può chiamarsi fuori. Altrimenti anche gli onesti diventano una banda.
politica
Scandalo dell'assenteismo, nessuno può chiamarsi fuori
Sanremo, quando gli onesti si voltano dall'altra parte
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