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"Senza immigrati i Paesi sono destinati a morire"
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Ha superato tanti pregiudizi e ha fatto fortuna negli States accumulando lauree e premi. Oggi era a Genova per ritirare il “Primo Levi”, ennesimo riconoscimento. “Ma il momento più bello è quando ho capito che dovevo insegnare. Ancora più importante è stato il matrimonio con mia moglie, ma questa è un’altra storia”.

È così, Guido Calabresi, 82 anni, semplice e profondo come pochi. Scappato dall’Italia e dal fascismo nel 1939, negli Usa è diventato giudice federale della Corte d’Appello del secondo circuito di New York. Oltre che professore all’università di Yale, il più giovane di sempre. Quaranta lauree honoris causa conferitegli in tutto il mondo. Una storia straordinaria che partì proprio da Genova.

“Il mio primo rapporto con la città risale al ’39, quando siamo partiti da qui – dice ai microfoni di Primocanale – ero un bambino di 6 anni e andavamo a prendere il Rex”. Ma gli Stati Uniti di allora non accoglievano a braccia aperte. “È un paese molto strano – continua – all’epoca c’erano tanti italiani, soprattutto meridionali. Persone bravissime che lavoravano, ma con poca educazione. Venivano trattati male, con razzismo. Quando ho fatto il mio giuramento di giudice a 55 anni esatti dal mio arrivo in America, ho parlato proprio di questo: delle persone che hanno aiutato a costruire un America aperta a tutti. Vedete: senza immigrati, senza persone che portano qualcosa di nuovo, un Paese muore”.

Il secondo appuntamento con Genova arriva in gioventù. Il padre, un industriale dello zucchero attivo a Ferrara, lo manda dal conte Schiaffino, socio in affari, per vendergli una parte di azienda. “Avevo vent’anni, sono arrivato in questo grande palazzo genovese e sono rimasto colpito. A quei tempi lo zucchero si faceva altrove, ma si commerciava a Genova”.

Da allora comincia una vita tutta in ascesa. Premi, titoli, lodi. “Ma il momento più bello – confessa – è quando ho capito che sono fatto per insegnare. Vedere come i giovani possano essere idealisti porta una grande gioia. Ogni mattina, quando non sono a New York per fare il giudice, dalle 8.45 alle 10 insegno alle matricole. Ed è ancora la cosa più bella. Poi, in realtà, il momento più importante è stato il matrimonio con mia moglie. Ma questa è un’altra cosa”.

Impossibile scansare il parallelo: per una generazione di italiani che scapparono dall’Italia fascista, ce n’è un’altra oggi che fugge dalla crisi. Ma la risposta di Calabresi è piena di ottimismo: “Malgrado la crisi e tutto il resto, l’Italia ha moltissimo da dare a tutto il mondo. Spero che le persone che vanno via dall’Italia tengano sempre un legame forte col loro paese. Qui c’è un rapporto umano più unico che raro e il mondo ne ha un enorme bisogno. Gli italiani vadano a portarlo all’estero, ma poi tornino qui”.