Così vicini, così lontani. Basterebbero queste quattro parole per definire il rapporto fra Genova e il suo porto. Una relazione che non è mai decollata davvero, perché troppo a lungo ha avuto i requisiti dei separati in casa. I portuali, intesi in senso lato, a ritenersi depositari di un ruolo decisivo e per questo intangibile da tutto ciò che li circonda, il resto della città a guardare le banchine come una casta di privilegiati, verso la quale consumare ogni rivincita possibile alla minima occasione.
C'è insomma una tara culturale e di mentalità ad appesantire il clima fra due mondi che si guardano e si parlano con difficoltà storiche, sebbene la migliore tradizione di una certa ipocrisia genovese tenda a dissimulare il tutto sotto la veste di una apparente cortesia. Rimanendo alla stretta attualità, non si può dire che fra Luigi Merlo, da poco ex presidente dell'Autorita' portuale, e il sindaco Marco Doria le cose siano filate lisce come l'olio. Qualche volta, anzi, i due hanno incrociato pubblicamente le lame, ma sono state circostanze sporadiche. La regola ha visto entrambi reciprocamente disponibili, però più a parole che nei fatti.
L'ultimo caso è il Bluprint disegnato da Renzo Piano, sul quale Merlo, Doria e tutti gli altri protagonisti si sono appiattiti all'insegna del "viva, bravo, bis" esattamente com'era accaduto per l'altra creatura dell'archistar, il Waterfront. Come andò a finire è ancora sotto gli occhi di tutti. E nessuno sa chi abbia la vera responsabilità di averlo affondato.
Il fatto è che sull'annosa questione delle contraddittorie relazioni fra il porto e la città ognuno può accampare valide ragioni, salvo constatare che non sempre - verrebbe da dire mai - le scelte fatte hanno avuto il faro dell'interesse più generale. Con il tramonto delle Partecipazioni statali e l'inesorabile declino industriale di Genova, il porto ha riacquisito rapidamente una centralità che, però, non è stata declinata nei fatti.
C'è chi ne addossa la colpa soprattutto alle istituzioni locali, meno attente a disponibili di quanto avvenga, per esempio, a Savona o La Spezia. Lì, si osserva, c'è stata maggiore unità di intenti, ci sono classi dirigenti che nel porto vedono un patrimonio da tutelare e sviluppare e anche protagonisti della vita portuale più pronti a cogliere le esigenze delle città.
Non posso dire, onestamente, se le cose stiano effettivamente in questi termini. Di sicuro se si guarda al Comitato portuale genovese si scopre un groviglio di conflitti di interesse, di questioni rimaste in sospeso per il gioco dei veti incrociati che non hanno aiutato né il porto né la Superba. Il presunto tentativo di far prevalere la democrazia sulle banchine si è spesso tradotto in immobilismo. O in pratiche spartitorie, per pudore definite "di mediazione".
Un momento che può ben simboleggiare questo andamento a strappi del rapporto fra Genova e il suo scalo è quello che condusse alla nascita della Fiumara. L'Ansaldo cedeva le aree per fare cassa, gli operatori portuali avrebbero voluto metterci le mani sopra per il classico piatto di lenticchie, la città immaginava una crescita del terziario non vedendo alternative giudicate in quella fase valide. Il dato storico è che si diede vita a un conflitto che nessun tavolo riuscì a impedire perché a nessun tavolo i diversi portatori di interessi si sedettero con la predisposizione d'animo di rinunciare a qualcosa per il bene comune.
Nelle varie partite fra il porto e Genova un ruolo decisivo lo hanno avuto gli uomini, le reciproche antipatie, le invidie, la volontà più di impedire l'ascesa altrui che quella di assicurare la propria. Soprattutto se questo avesse comportato l'esigenza di aprire il portafoglio. L'immortale logica dello "scagno". La stessa che, oggi, guida le richieste di prolungamento delle concessioni demaniali, come se il patrimonio pubblico di cui parliamo fosse diventato un bene privato, da preservare a fronte di piani industriali - leggasi investimenti - buoni solo per la bisogna del momento.
Questo riporta alla scarsa chiarezza, che ha sommato i problemi, cui ha contribuito anche la legislazione nazionale. Del pletorico Comitato portuale si è già detto e che la riforma Delrio punti a introdurre un Comitato di gestione molto più snello è da considerarsi certamente un passo avanti. Lo stesso provvedimento, però, non aiuterà di sicuro a ricucire le relazioni fra Genova e il suo porto quando stabilisce che il presidente dell'Autorita' sarà scelto direttamente dal Ministero, pur ascoltato il presidente della Regione (o delle Regioni interessate, come nel caso di Spezia, se come sembra assodato andrà a nozze con Carrara).
Questo meccanismo, infatti, ha in se' il pericolo che arrivi un manager attento al buon andamento della "azienda porto" a prescindere da ciò che riguarda la città. Potenzialmente, pronto a decisioni, anzi, che apertamente confliggono con ciò di cui Genova può avere bisogno che arrivi dalle banchine. Ma c'è chi vede anche il bicchiere mezzo pieno. E se fosse proprio un "foresto", libero da qualsiasi condizionamento del passato, l'elemento giusto per ricucire l'antica frattura fra la Superba e il suo porto? Per la serie: meravigliosa Genova, peccato i genovesi...
porti e logistica
Genova e il suo porto: così vicini, così lontani
Conflitti di interesse, veti incrociati, invidie
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