Se nell'era del denaro a interessi zero, o addirittura negativi, ti propongono prodotti finanziari capaci di mirabolanti performance, con rendimenti del 5 per cento e persino di più, vuoi fartelo venire almeno il dubbio, un piccolissimo dubbio, che sotto possa esserci qualcosa? Se non altro un margine di rischio molto elevato. Com'era già accaduto al tempo dei "tango bond", quando i saggi ordinari viaggiavano intorno al 3-4 per cento e titoli di Stato argentini venivano piazzati riconoscendo interessi anche del 15 per cento. Tutti sanno come finì quella storia, lasciando sul campo migliaia di persone che persero tutto o quasi.
Quell'esperienza non è servita se, oggi, migliaia di italiani sono a misurarsi con lo scandalo dei "subordinati" di quattro banche rifilati a ignari, ma forse troppo avidi risparmiatori. Sia chiaro, non voglio qui rovesciare le responsabilità dell'ennesima bruttissima vicenda italiana, ma non se ne uscirà mai se non diventerà patrimonio comune e condiviso il fatto che il denaro nessuno lo regala e massimamente non lo fanno coloro che lo trattano per mestiere. I banchieri e i bancari.
Chi ha età e buon senso che dovrebbe essere conseguente abbia la prudenza necessaria nel maneggiare la messa a rendita del proprio denaro, soprattutto quando l'offerta è palese avete fuori dai canoni correnti. Non è un caso, del resto, se nella legislazione italiana esiste una figura di reato come l'incauto acquisto. Vale per un anello o una collana ricevute a prezzo troppo basso, può valere al contrario per certa "merce" finanziaria presentata a valori altamente fuori mercato.
Poi, certo, ci sono i casi dei prodotti finanziari fatti sottoscrivere a ottuagenari le cui difese sono inesistenti e qui entra in gioco la disinvoltura delinquenziale dei banchieri e anche dei bancari. Sulle responsabilità di coloro che amministrano gli istituti di credito e/o che hanno ruoli da top manager non c'è discussione. Ma resta troppo sotto traccia il comportamento non meno riprovevole dei bancari, funzionari e impiegati che materialmente propongono certi prodotti finanziari e spingono i clienti a sottoscriverli.
Solo rarissimamente costoro vengono perseguiti, grazie al paravento che si tratta di esecutori di ordini. C'è da ridire su questo aspetto, come sul fatto che nel contratto di categoria sempre più certi riconoscimenti economici sono legati anche alla quantità di vendite realizzate. È vero e probabilmente non è neppure così giusto, ma resta il fatto che c'è modo e modo di conquistarsi quei riconoscimenti. Di sicuro non è contemplato quello di raggirare i clienti, massimamente quelli meno avveduti per più diverse ragioni.
Non a caso si parla di truffa e bisognerebbe aggiungere la circonvenzione d'incapace, intendendo per incapacità la stessa ignoranza di certi meccanismi finanziari, oggettivamente alla portata di pochissimi, se non sono del mestiere. Ora si dice che bisognerebbe vietare per legge la vendita di prodotti delicati come i "subordinati" sul cosiddetto mercato retail, quello generale dei risparmiatori.
Questo limiterebbe di sicuro l'ampiezza dei danni procurati ai clienti delle banche, ma il fenomeno non avrà fine se i bancari non riacquisiranno un'etica del mestiere degna di questo nome. Perché non c'è bisogno di prodotti finanziari avvelenati per raccontare storie di gente che viene quotidianamente danneggiata dai comportamenti disinvolti dei banchieri e dei bancari.
Basta possedere un semplice conto corrente per rischiare di finire nelle loro grinfie. E allora vien da chiedersi dove stessero e stiano la Consob (vigilanza di Borsa) e la Banca d'Italia (vigilanza bancaria) quando certe nefandezze si consumano. Possibile che si sveglino e intervengano con le loro sanzioni solo a posteriori?
Nel caso delle banche di Vicenza, Chieti, Ferrara e dell'Etruria c'è poi un aspetto politico dirompente, legato al fatto che vicepresidente dell'istituto toscano è Pierluigi Boschi, papà della ministra Maria Elena. Le opposizioni vogliono le dimissioni della titolare del dicastero delle Riforme per conflitto di interessi e sostengono che il decreto salva banche adottato dal governo sia nato per salvare cotanto padre.
Se si vuole essere intellettualmente onesti bisogna riconoscere due cose. La prima: l'avesse fatto Berlusconi le strade sarebbero piene di manifestanti. La seconda: il premier Matteo Renzi ha fatto la sola cosa possibile, commissariando le banche, salvando migliaia di posti di lavoro e prevedendo risarcimenti per risparmiatori che altrimenti avrebbero perso davvero tutto.
Ciò, tuttavia, lo autorizza solo parzialmente a difendere il ministro più potente del suo gabinetto. Qui non si tratta di di far ricadere la colpa del padre sulla figlia, ma di una situazione politica che le opposizioni cavalcano - con la mozione di sfiducia che andrà in votazione domani - esattamente come la Boschi e i renziani cavalcarono il caso Cancellieri.
Ricordate il ministro ex prefetto di Genova travolta dalle telefonate amichevoli con la famiglia Ligesti? Dissero, Renzi, Boschi & compagnia bella, che la Cancellieri doveva dimettersi per ragioni di opportunità politica. Se quelle ragioni valevano allora, non si vede perché non dovrebbero valere oggi. La differenza non può essere che ieri il governo era guidato da Enrico Letta e adesso, invece, da Renzi stesso. In politica, come nella vita, raccogli quello che hai seminato.
economia
Renzi, banche, risparmio e quella questione morale
Le mille sfaccettature dell'ennesimo scandalo italiano
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