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La 'testimonianza' di un genovese che vive a New York
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A vent'anni ha preso una nave per New York, si è innamorato degli States e ha trasferito lì l'attività di famiglia. Fabrizio Parodi, presidente di Interglobo, ormai a Genova ci viene solo nel (poco) tempo libero. Ma proprio dalla Superba è partito il viaggio della sua compagnia di spedizioni, oggi attiva in tutto il mondo.

Dalla prospettiva della grande Miami, Genova non è messa poi così male: ha solo bisogno di una regia politica. Temi approfonditi nell'intervista a Primocanale condotta da Mario Paternostro e Franco Manzitti.

Lei è un genovese che vive a New York e vive il mondo. Ci racconti anzitutto che cos'è Interglobo - È una società di spedizioni fondata da mio padre negli anni '60. Allora era un'azienda tipicamente genovese, legata al porto. Con la generazione mia e di mia sorella ha avuto una grande trasformazione, ci innamorammo del mercato americano. A vent'anni, mentre studiavo all'università, andai per un paio di mesi negli Usa. Avevo visto quel mondo all'epoca davvero diverso, volevamo sfondare lì. Abbiamo iniziato dai traffici Italia-Usa, tra l'altro era il tempo delle prime portacointainer. Poi ci siamo impiantati là con magazzini, strutture portuali e camion.

Insomma, avete istituito una sorta di ponte tra Genova e New York - In quegli anni era un rapporto tra Italia e Usa. Poi, verso la fine degli anni '90 abbiamo visto che il traffico si stava spostando verso l'Asia, e oggi forse il nostro asse portante è Stati Uniti-Asia, più il Sudamerica.

Come è cambiata la vostra visione di Genova? Come appariva allora e come appare adesso? - Quando ho iniziato ('84-85), Genova era ancora una città che sentivi importante, sentivi un'atmosfera molto stimolante per un giovane. Aveva dei problemi a livello di porto, conflitti, però c'era tanto fermento. Io avevo 23 anni, per cui ero molto gasato di far parte di questa industry. Abbiamo sempre una struttura importante a Genova, anche se a livello di atmosfera non è certo quella di allora. Vado in ufficio, torno a casa, non ci sono frequentazioni molto stimolanti come in passato.

Cominciamo dal porto: secondo lei resta il motore della città? Viaggia a velocità ridotta, o forse è addirittura spento? - Sicuramente è un porto importante nel Mediterraneo. E ci mancherebbe altro. Si sono mantenuti i volumi. Da porto dove c'erano tantissime merci varie e altrettanto lavoro è diventato un porto impressionante, con questi 'valangoni', navi portacointainer lunghe 500 metri. Ma si tratta di movimentare scatoloni e basta.

Diciamo così: abbiamo perso dei treni? - Io, il porto, ho sempre avuto il sogno di vederlo in modo diverso: collegato oltre Appennino con Rivalta, con l'Alessandrino. Sognavo anche di creare una zona franca – se ne parlava nei primi anni '80 – per attirare le industrie con una ferrovia funzionante che potesse dare una logistica vincente a questo porto e spingersi verso altre zone del Nord.

Ci siamo un po' accontentati? - Sì, non è quel porto che ho sognato. Purtroppo non porta quello che avrebbe potuto. Del resto non si tratta di una sfida facile. Dalla teoria, però, si deve cercare di andare avanti.

Un porto, diceva, che non è più industriale, ma solo un ammasso di scatoloni. Ma allora, cosa si doveva fare? - Ci voleva un forte progetto di città, una regia politica che perseguisse obiettivi diversi.

Oggi la vede come una svolta impossibile? - Genova ha tanto: un gran bel porto, si parla di attrezzarlo per navi più grandi, abbiamo le crociere, la cantieristica. Genova dovrebbe avere la sua personalità. In Veneto fanno i mobili, a Sassuolo le piastrelle. Noi sappiamo fare shipping, logistica, treni. A livello di porto dobbiamo attirare l'industria verso di noi offrendogli una logistica importante. In Canton Ticino hanno istituito una zona franca e tutto il settore moda si è spostato lì.

Le nostre capacità continuano a essere riconosciute in uno scenario internazionale? - Sinceramente sì, è una città conosciuta. Se andiamo al Sea Trade, la fiera più importante delle crociere a Miami, lo stand della Fincantieri è lo quello più bello e importante. Abbiamo competenze che ci vengono riconosciute.

E la Fiera del Mare? - Quello è un altro discorso. Abbiamo cinque-sei settori con una specialistica e una storia importantissima, che esistono e che hanno fatto tanto. È indubbio che gli imprenditori hanno investito e fatto sì che si sviluppassero.

Ma non siamo troppo isolati rispetto al contesto? - Sì, ma ci vorrebbe un po' di autostima da parte nostra. Non siamo Vigevano, con tutto il rispetto.

E se la politica industriale italiana stesse dimenticando la funzione strategica del capoluogo? - Non sono in grado di rispondere. Renzi è venuto un paio di volte. Probabilmente dovremmo spingere i personaggi che contano a fare da locomotiva per questa città. A Miami vedo una città bellissima – anche Genova lo è, ce lo diciamo sempre perché è vero – con il porto, l'industria e il turismo. Di sicuro il turismo da solo non basta.

Sentiamo la mancanza di una figura come Garrone, non crede? - Certo, Garrone è stato in quegli anni una persona molto vicina alla città. Era innamorato di Genova, è arrivato alla fine della sua carriera tenendo in mano l'azienda. Era una persona molto positiva e vogliosa di portare avanti i progetti.

Ci vorrebbe a Genova un sindaco come quello di New York, Bloomberg? - Magari. Bloomberg probabilmente proverà a fare il presidente degli Stati Uniti, un grandissimo personaggio. Ci vorrebbe una regia che mettesse mano a una situazione che non è così negativa.

Forse questa città dovrebbe far venire gente da fuori? - Va bene, però non disperdiamo le forze che abbiamo.

Veniamo allo sport. Lei si è impegnato non solo nella Sampdoria, ma anche nella Pro Recco. E ora come vive questa situazione un po' nebulosa di passaggio? - La vivo un po' come il calcio. Garrone è stato, come anche Mantovani, un 'patron'. Duccio Garrone non ha mai venduto un calciatore, a parte metà di Quagliarella. A fine anno purtroppo società come Genoa e Sampdoria, in un calcio non tanto corretto, si trovano in perdita, e lui ripianava sempre. Bazzani, mi ricordo che il Milan lo voleva per 10 milioni. Ma lui sapeva tutti gli inni della Samp a memoria. E Garrone non ha voluto venderlo. Oggi, se si possono realizzare 100 mila euro di plusvalenza, la fanno immediatamente. Il calcio di oggi è così: se non hai la possibilità di metterci 15-20 milioni ogni anno non stai in piedi.