Se vai in giro per Genova e per la Liguria, ma anche per l’Italia, e chiedi chi rappresenta o ha rappresentato la genovesità nella sua forma più verace, alcuni, forse i più giovani, diranno Fabrizio De André, ma tantissimi, specie quelli che lo hanno visto in televisione, diranno Gilberto Govi. Non c’è dubbio: Gilberto Govi ha rappresentato Genova e i genovesi; e pensare che, nelle commedie che ci ha lasciato, lui in genovese parla pochissimo.
Sicuro, esibisce una bella còcina genovese di Genova centro, le poche parole che dice hanno la cadenza giusta per farlo riconoscere come un genovese verace, ma è anche vero, come mi è stato fatto osservare, che Govi aveva capito che è molto più comico recitare in un italiano “azeneizòu”, piuttosto che in un genovese perfetto. Ed era anche molto più comprensibile per un pubblico non solo genovese!
È noto che Govi, nato a Genova in via Sant’Ugo 13 dove una minuscola targa lo ricorda, era figlio di due non genovesi: il padre Anselmo era modenese e la madre Francesca Gardini era bolognese. È quindi di fatto certo che abbia imparato il genovese non in casa, ma in strada dove tutti, ma proprio tutti lo parlavano (purtroppo oggi non è più possibile imparare il genovese così). E quel genovese imparato per la strada era davvero un bel genovese.
Ma non è solo la parlata la ragione del suo grande successo. L’altra importante componente della simpatia e della familiarità che suscitava nel vederlo recitare era anche il suo viso, con una mobilità non indifferente e la capacità di trasmettere sensazioni, emozioni e sentimenti con la giusta espressione della faccia. Proprio per questa sua caratteristica, Cesare Viazzi, nel suo libro sulle maschere genovesi, annovera tra queste anche Gilberto Govi.
Anche il suo nome nasconde una curiosità. Lui si chiamava Amerigo Armando Gilberto, ma aveva deciso di usare comunemente il terzo dei suoi nomi in onore di uno zio, Gilberto Govi appunto, che era stato un brillante fisico sperimentale e al quale è stata dedicata anche una strada a Mantova, sua città natale. Lo stesso Govi ce lo racconta nella rivista “Zena” dell’ottobre-dicembre 1958, rivista diretta da Ettore Balbi, grande amante del genovese e di Genova. Per chi fosse interessato a leggere cosa ha scritto Govi può andare a vedere qui.
Govi è mancato il 28 aprile 1966 e quest’anno ne ricorre il cinquantesimo. Cosa ci ha lasciato in eredità? Le registrazioni delle sue commedie (quelle che si sono salvate) e le sue quattro pellicole cinematografiche che, pur divertenti e decorosissime, non furono grandi successi, bisogna ammetterlo. Ma ciò che ci ha lasciato in abbondanza è lo stuolo di epigoni che recitano esclusivamente le sue commedie imitandolo nella voce e nella gestualità anche quella più minuta. Ho chiesto a un attore che senso ha imitare Govi così alla perfezione e la risposta è stata: “perché lo vuole il pubblico”. E finché il pubblico lo vorrà, Govi vivrà tra noi in tutte le rappresentazioni che lo imitano e che lo celebrano come facciamo noi in questa ricorrenza.
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Gilberto Govi, uno di noi
Il 28 aprile ricorrono cinquant'anni dalla sua morte
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