cronaca

Scialfa, Fusco e Paladini rinunciano a farsi interrogare
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La firma al posto del consigliere regionale Stefano Quaini fu "una scemenza, un errore di leggerezza", la tenuta contabile del gruppo Idv era fatta "con un modus operandi sbagliato ma consentito dalla legge regionale" e all'interno del gruppo consiliare, a fine 2011, c'era in corso "una guerra contro Nicolò Scialfa, tutto il gruppo era in disaccordo per il fatto che lui prendesse più soldi degli altri consiglieri".

E' quanto ha detto Giorgio De Lucchi, ex tesoriere del partito di Antonio Di Pietro, imputato nel processo sulle cosiddette spese pazze in Regione, insieme all'ex vice presidente del Consiglio regionale Scialfa, Marilyn Fusco, e l'ex deputato Giovanni Paladini. L'inchiesta riguarda gli anni dal maggio 2010 al dicembre 2012 e l'accusa contesta loro spese private fatte con i soldi del gruppo, come l'acquisto di libri, viaggi, biancheria, vini, cibo per animali per un ammontare stimato di 130 mila euro. Per lo stesso filone d'indagine sono già stati condannati con rito abbreviato gli ex Idv Maruska Piredda e Stefano Quaini a 2 anni e 8 mesi e 2 anni e 4 mesi. De Lucchi, che è accusato di appropriazione indebita e falso ideologico, è stato l'unico a farsi interrogare, mentre gli altri tre hanno rinunciato all'esame.

"Ho operato con un modus operandi che era sbagliato ma consentito dalla legge regionale. Tanto che poi è stata cambiata la legge. Ma quando mi accorgevo che qualcuno mi portava scontrini per spese che non potevano essere rimborsate io stesso le toglievo. Ho sempre agito in modo regolare e trasparente", ha detto in aula. "A fine 2011, quando iniziarono a sorgere problemi perché le casse nelle casse del gruppo non c'erano più soldi, io proposi di non dare soldi ai consiglieri, ma di rimborsarli solo quando portavano le pezze giustificative. Si opposero tutti, volevano continuare come si era sempre fatto. Io non ebbi l'autorevolezza di oppormi. I consiglieri ce l'avevano con Scialfa perché prendeva il doppio e dissero che se mancavano soldi dalle casse era colpa sua e che avrebbe dovuto metterli lui. Scialfa rispose che le sue erano tutte spese istituzionali".