Che destino per quell'establishment imprenditoriale delle grandi famiglie, che oggi cerchi nell'attualità dei tempi moderni con gli stessi nomi e ritrovi solo in rari casi e che vedi rispuntare sotto altre spoglie, dei “nuovi”, ma anche dei vecchi “mutati”. I Costa che si occupano di “edutainment” con l'Acquario e il Bioparco, ma sono solo Beppe con alle spalle un guardingo Nicola e Bacci Costa, i Garrone che, dopo la scomparsa di Riccardo “Duccio”, sono nelle mani di Alessandro e Edoardo, molto più schivi, meno pubblici, finanziariamente potenti e riconvertiti nelle energie alternative, con a fianco il ramo dei Mondini, più silenziosi, ma non meno operosi da Giampiero, il patriarca a Giovanni che sta salendo le scale della visibilità cittadina, i Cauvin che sono sullo stesso business dei padri e dei nonni, ma stanno al riparo da incarichi e ruoli pubblici, i Romanengo che non possono che celebrare storicamente la loro intuizione di san Benigno....!
Un destino nuovo, dove il famoso triangolo che garantiva in qualche modo la protezione, Siri-Costa-Taviani, con uno schema più evocato che reale, si era smontato da tempo. I Costa avevano incominciato il lungo percorso che li avrebbe portati dal regno di Angelo, alla vendita della flotta alla americana Carnival, alla fine del loro modello famigliare, che si studia solo sui libri di economia e nelle ricostruzioni storiche. Siri aveva resistito sulla sua cattedra di arcivescovo e cardinale dell'ala conservatrice con la sua fortissima presenza temporale in città, fino a quando Giovanni Paolo II accettò la sua prorogatio, sfidando e vincendo la sfida del Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII, che non entrò mai del tutto nella Diocesi allora chiamata di Genova-Bobbio.
Insomma, tutto era pronto per la mutazione genetica che Stefano Zara porta come spiegazione di quel percorso: si è modificato anche il dna della tradizione post industriale genovese, quel senso del rischio, della propensione al business, allo sfruttamento della posizione geografica, a quelle che poi si sono chiamate, nel linguaggio moderno, le commodity.
Il tramonto delle grandi famiglie - dice ancora Zara - si spiega proprio con la mutazione genetica dell'industria, la fine dell' industria di consumo, la trasformazione fisica degli stabilimenti da verticali in longitudinali, quindi impossibili da “spaziare” nelle strettoie genovesi.
E allora quale diventa l'orizzonte delle grandi famiglie, se non in parte quello delle rendite finanziarie, delle grandi operazioni bancarie, di uno spirito che, in verità. ha sempre animato i salotti, i corridoi, gli scagni genovesi, scuotendo i tendaggi dei circoli riservati, come il Tunnel, il “Casino dei nobili”, lo Yacht Club delle opposizioni al Blue Print di Renzo Piano e quelli che non ci sono più, come l'Union Club di via Peschiera, dove era perfino vietato l'accesso alle signore?
Conservatorismi rigidi come i blazer di ordinanza, i doppiopetti classici ante Berlusconi, i colori classici e riservati dell'abbigliamento genovese ultraclassic, blu, grigio, rosso, bordeaux, come sussurrava il magister elegantiarum Pescetto, nella sua storica bottega di via di Scurreria, accogliendo i suoi riservatissimi clienti e consigliando le gradazioni degli abiti e dei pullover.
Già, ma cosa resta oggi di quella potenza patriarcale, di quei grandi leader, di quel nesso famigliare, di quei passaggi generazionali così difficili, impossibili, spesso fino a età avanzata, ridotti appunto allo stacco delle cedole, ma cosa resta anche di quella funzione-chiave nell'organizzazione del potere cittadino, negli incroci con la politica, che non sono solo i duecento posti apparecchiati al tavolo del Palazzo del Principe da Giovanni Toti, l'ultimo dei politici “tentatori” per i commensali-imprenditori alla disperata ricerca di un interlocutore politico in grado di rappresentare Genova?
Certo, restano colossi fondamentali nell'economia di Genova e soprattutto del porto, come i Rimorchiatori Riuniti, dove i carati della prestigiosa società appartengono a tante famiglie, ma soprattutto ai Dellepiane, Gavarone che corrono ora con il loro business ben oltre i confini delle nostre banchine e sono diventati operatori dei servizi portuali in tanti altri porti del Mediterraneo e degli Oceani, con attività anche in Brasile.
Ma più in generale di quel passato da nostalgia imprenditoriale oggi resta poco, perché la dissoluzione della società civile, l'impresentabilità della politica dei nuovi partiti e di quelli sopravvissuti, ha spinto fuori dai ruoli pubblici la dinasty.
Avevamo grandi leader di aziende che si esponevano pubblicamente, come Riccardo Garrone, due volte presidente degli Industriali, suo figlio Edoardo presidente dei Giovani Industriali nazionali e vice presidente di Confindustria, Gian Vittorio Cauvin per dieci anni presidente di Camera di Commercio e dopo di lui addirittura un match, tra Adriano Calvini e Gianni Scerni, due altre grandi famiglie di import export e di shipping-armamento, per succedere sul trono camerale.
Abbiamo avuto Attilio Oliva, di chiara fede socialista, presidente di Amga, di Finmare dell'Associazione Industriali e Luigi Attanasio, altro imprenditore estroverso, al vertice degli Industriali e infine Giovanni Calvini, altro esponente della classe famigliare, presidente in Confindustria-Genova. E ora cosa abbiamo?
Confindustria e Camera di Commercio sono sguarniti e, comunque, in palese ritirata nell'esposizione pubblica. D'altra parte la fine della intermediazione sociale tra alto e basso delle categorie e della società, di cui il sociologo De Rita teorizza efficacemente, ha sepolto le ambizioni di rappresentanza sociale
La ritirata è stata massiccia e quasi totale e ci si può chiedere ora, nel 2016, quali tracce di grandi famiglie ci sono nel corpo martoriato della società civile genovese. Non c'è più l'armamento, salvo rari casi, ma c'è lo shipping che è l'asse portante dell'economia genovese con e senza il timbro delle grandi famiglie, con l'avvento di nuovi leader e, comunque, con una forza di blocco che pesa molto sugli equilibri della città. E ne condiziona molto il futuro.
Ci sono i Messina giunti alla terza generazione, armatori molto legati alla città che hanno anche diversificato con la creazione di altre aziende. C'è Aldo Spinelli, potente autotrasportatore-terminalista, in guerra permanente per far allungare le sue concessioni, c'è Luigi Negri, con il suo terminal Sech di Calatà Sanità e gli altri interessi in espansione nella città, ci sono i Riparatori Navali che sono anche piccoli armatori, come Mariotti, con Marco Bisagno e i Garrè dei Cantieri san Giorgio. Si battono molto per cercare spazi nel porto e sono i possibili beneficiari del Blue Print, qualora il progetto procedesse veramente, dopo essere stati non certo favorevoli al Water Front, prima edizione, di Renzo Piano nel 2005.
C'è anche il “grande” liner Aponte, “posteggiato” a margine dei terminal, dopo avere vinto le gare di assegnazione, con le sue grandi navi e quella sede-grattacielo, appena inaugurata a san Benigno, con dentro più di mille dipendenti. Tutto questo ed altro è in qualche modo qualcosa che insieme sostituisce l'antico potere famigliare, anche se la composizione “genetica” del blocco è diversa per estrazione, provenienza, storia aziendale?
Poco importa: oggi le partite decisive del futuro si giocano con il mazzo di carte che i leader del gruppo dello shipping usano sul tavolo, tra pressioni per l'allungamento delle concessioni, larvati aut aut per ottenere più spazi, altrimenti non c'è che andare via, magari a Marsiglia o a Piombino, dove i riparatori hanno già cantieri e progetti consistenti.
Resta l'altro autentico filone, di tanta storia aziendale, imprenditoriale, di gruppi e famiglie storiche, quello della rendita finanziaria, che ha trovato il suo culmine nell'operazione Malacalza alla Carige e che svetta nel salotto Passadore, cioè nel successo della omonima banca, che si fonda su quella famiglia e sui suoi soci, tutti del più classico establishment genovese.
Malacalza non è un genovese, anche se lo è diventato ed anche se, arrivando da Piacenza -Bobbio, dove si estendeva fino a venti anni fa la Diocesi di Genova, non ha proprio l'aria dello straniero. La sua sfida bancaria genovese, dopo quelle in successione che lo hanno portato a comprare un filone Ansaldo, poi a allenarsi finanziariamente con l'attacco alla cassaforte Pirelli e a insediarsi con coraggio tra Ginevra-Lugano-Spezia con le aziende che producono i grandi conduttori di energia, ha , però, lo spirito di una antica tradizione autoctona.
Forse il suo è oggi il più alto livello di “intrapresa” della città. E' sul fronte finanziario-bancario, ma nel coraggio e nello spirito verso la città, richiama imprese di altri personaggi “storici”. Fatte le proporzioni con la storia e le dimensioni dei tempi, viene in mente Gerolamo Gaslini, grande imprenditore, venuto dalla non lontana Brianza, che poi costruì l'Ospedale dei Bambini, una struttura che ancora oggi è molto importante per il nostro Paese e l’Europa. Con il paradosso di esistere, quell'ospedale per i più piccoli, nella città più vecchia d'Italia e d'Europa.
Vengono in mente, fatte ancor di più le dovute proporzioni, i Duchi di Galliera, grandi famiglie dal XVI secolo in avanti, che hanno donato alla città le dighe portuali, il grande omonimo ospedale, che non riusciamo a modernizzare, i palazzi Bianco e Rosso e infinite strutture di assistenza e solidarietà.
Altro che foto ingiallite, questi sono affreschi veri di una predisposizione storica delle grandi famiglie verso la città e la sua spina dorsale economica e sociale. Questa non è un'altra storia, ma è Storia con la maiuscola. Troppo alto paragone per un presente in ritirata, per tante grandi famiglie scomparse, per altre profondamente mutate, per quelle rimaste “ a stacca 'cedule”? Forse, ma oggi la potenza residuale di Genova si misura con altri parametri e il passato non torna indietro.
Una novità c’è: le “liti” dei vecchi sembrano finite e le nuove generazioni famigliari che stanno prendendo il comando, sembrano più propense a discutere, ragionare, allearsi. Forse il futuro di Genova si giocherà in questi snodi.
(5a parte-continua)
Nella foto da sinistra Alessandro Garrone, Giovanni Mondini e Gregorio Gavarone
politica
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