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Il presidente di Federacciai parla a Primocanale
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Ilva e l'acciaio sono asset strategici per il paese, quindi bisogna trovare una soluzione a tutti i costi. Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, in un'intervista a Primocanale al direttore Giuseppe Sciortino, parla del gigante dell'acciaio, delle proposte di acquisizione e degli errori compiuti soprattutto dallo Stato anche nei confronti dei Riva, gli attuali proprietari.

Qual è lo stato di salute oggi dell’azienda complessivamente a livello nazionale? - 
Uno stato di salute molto precario e difficile, dopo quattro anni di commissariamenti e perdite consistenti, manutenzioni non fatte. Lo stato dell’Ilva è uno stato problematico sarà una grande sfida per chi avrà l’onore e l’onere di rilanciarla, riuscire a farla.

Fra circa 120 giorni si saprà come sarà il piano operativo di chi vuole acquisire Ilva. Nel frattempo, c’è una cassa integrazione in scadenza, lavori socialmente utili in scadenza e sindacati che cercano di mediare con l’azienda per il rinnovo dei lavori socialmente utili - I sindacati fanno il loro mestiere. Certamente la crisi economica in cui l’Ilva è sprofondata ha avuto anche gravi ripercussioni sociali in tutti questi anni, e anche la profondità di queste ripercussioni deve far riflettere su come le aziende non possano essere trattate come è stata trattata l’Ilva. Vi sono errori molto gravi a monte di tutta questa vicenda. Un’azienda che era stata gestita e che aveva sempre creato occupazione e investimenti è stata messa in ginocchio. Noi ci siamo sempre opposti a quello che abbiamo definito un esproprio senza indennizzo, perché pensiamo che le imprese abbiano bisogno degli imprenditori privati e non di commissari. E nel momento in cui si pensa di poter gestire le imprese senza gli imprenditori privati, le imprese falliscono.

La stessa famiglia Riva ha più volte ripetuto che comunque “non finisce li”, nel senso che farà ricorso anche all’Alta Corte Europea perché ritiene ingiusto il commissariamento. Quale sarà il percorso di Ilva calcolando che comunque ci sono delle proposte d’acquisto e il Governo va avanti? - 
Io credo che le cause eventualmente lanciate dalla famiglia Riva saranno fatte nei confronti dello Stato e non degli acquirenti che compreranno dall’amministrazione straordinaria gli impianti dell’Ilva. Prima dell’acquisto di questi impianti, però, c’è un passaggio molto importante che è il dissequestro. Perché oggi questi sono tutti sotto sequestro da parte della magistratura di Taranto e ovviamente non si possono né vendere né affittare.

Guardando avanti: Taranto, Genova Cornigliano e Novi Ligure. Qual è l’impianto che oggi rischia di più dal punto di vista dell’occupazione e che ha più bisogno di un investimento da parte di chi comprerà Ilva? - - Sicuramente Taranto. È l’impianto che rischia di più perché è il più grande, è quello su cui sono stati fatti meno interventi in tutti questi anni, è il più lontano dai mercati e quindi vive la vera crisi occupazionale, senza nulla togliere alle giuste preoccupazioni dei lavoratori di Genova e Novi.

Ma l’acciaio è ancora un asset fondamentale per il nostro paese? Lo sarà ancora? - Siamo ancora la seconda manifattura europea dopo quella tedesca, e dentro la manifattura italiana il settore della trasformazione del metallo e della meccanica sono i più importanti. Rimanere un Paese senza acciaio significa rimanere un Paese che passa il vantaggio competitivo ad altri che hanno le produzioni di acciaio al loro interno. Non c’è un solo grande Paese del mondo, una grande economia del mondo che abbia fino ad oggi rinunciato all’acciaio. Dagli Stati Uniti, al Giappone, alla Cina, alla Germania. Tutti i Paesi più importanti dal punto di vista economico industriale nel mondo si tengono ben stretto il loro settore dell’acciaio.

L'Unione Europea è proprio partita dall’unione dell’acciaio e del carbone. Ma gli scossoni che colpiscono l’Unione Europea sono scossoni che si riverberano sull’economia e sull’acciaio in particolare? - Si, nel senso che quello spirito che portò alla costruzione della comunità economica europea, e prima ancora alla CECA fu uno sforzo dei fondatori visionari, un’Europa del futuro che però partiva dalla concretezza del carbone e dell’acciaio. Purtroppo quello spirito si è perso, la grande crisi che vive l’istituzione europea oggi è dovuta anche al fatto che ci si è allontanati da quei valori. Sempre più l’Europa, invece di essere un'Europa delle economie e dei popoli, è diventata un'Europa delle burocrazie guardiane, cioè molto spesso autoreferenziali, che vengono percepite come tali dai popoli, che si ribellano e votano Brexit.

Da professore di economia all’università, qual è quell’errore che a uno studente direbbe di non compiere in quella che è stata la gestione dell’Ilva da parte dei Riva e per tutto quello che riguarda lo Stato e ciò che ha garantito? - Partiamo da spunti autocritici: una gestione dei rapporti con l’ambiente e con le istituzioni più attenta agli impatti ambientali che una grande industria come quella siderurgica provoca. Il quartiere Tamburi, quando lo Stato ha costruito l'impianto di Taranto, aveva 4 mila abitanti. Oggi ne ha 25 mila e non si può imputare all’impresa di aver dato le licenze edilizie per costruire alloggi per altre 20 mila persone. Le industrie oggi hanno un dovere di curare la sostenibilità interna ed esterna e, soprattutto, le industrie di base ad alto impatto ambientale devono fare tutto il possibile per attenuarlo. L’errore da parte dello Stato è quello che ho detto. Le imprese senza imprenditori muoiono e aver cacciato i Riva, imprenditori che hanno investito per 15 anni più di 350 milioni all’anno, è stato un errore drammatico, è una brutta macchia sulla reputazione internazionale del Paese.

Ilva ha un futuro? - Sì, spero di sì, sarà una sfida difficilissima però l’economia e l’industria italiana non possono fare a meno dell’Ilva. Quindi bisogna trovare a tutti costi una soluzione.