cronaca

Don Karol: "Siamo diventati una famiglia"
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Sguardo basso, poche parole e poi gli occhi guardano il pavimento del parcheggio davanti alla chiesa del buon pastore di Radom che per una settimana ha ospitato i giovani genovesi (56) per il gemellaggio in vista della Gmg di Cracovia.

In quel parcheggio, in un grande cerchio c'è tutta la comunità. Sono le 6.30 di un lunedì mattina di fine luglio e tutti si sentono in famiglia, a casa.
Don Karol si commuove, non piange, si trattiene ma dopo una settimana insieme tutti si sono accorti che il suo viso è un po' più italiano, il suo sorriso è più aperto, lui che il primo giorno sembrava quasi un soldato. Nella preghiera di ringraziamento domenica sera dall'altare don Karol l'ha detto, contravvenendo un po' alla tipica riservatezza polacca "io sono conosciuto per essere duro, rigido ma voi mi avete sciolto il cuore".

Don Karol é il simbolo di questa comunità, una comunità che ha aperto, non solo le loro case, ma anche il loro cuore.
Per tutta la settimana è stato un vero angelo custode del gruppo. Un italiano molto buono che in questi giorni ha acquistato sempre più la musicalità, la dolcezza italiana.

Don Karol è sì proprio il simbolo della comunità che ci ha accolto: apparentemente rigido all'esterno, ma con un cuore grande all'interno.
Sull'altare alla fine della preghiera di ringraziamento, intimidito, non ha dubbi rispondendo a qualche domanda: "Questa settimana mi ha sconvolto, ci ha sconvolto perché abbiamo scoperto dentro di noi la capacità di aprirci e per noi non è usuale. Da noi in chiesa non si mostrano tanto le emozioni, per la nostra comunità la vostra è stata un'importante testimonianza di fede".

Mentre parla non solo il pellegrino che è in me ma anche la cronista non può che rimanere stupita perché se c'è una cosa che ha colpito tutti i ragazzi genovesi, e anche me, è la spiritualità polacca "mi ha sconvolto il loro modo di fare la comunione inginocchiati all'altare" così Valeria 17 anni in un momento di condivisione sul bus mentre il gruppo si sta spostando verso Cracovia. La loro spiritualità, il loro modo di vivere la fede intensamente, profondamente in un modo cui noi in Italia non siamo più abituati rimarrà nei cuori, negli occhi di tutti.
Sono gli occhi lucidi, gli abbracci, i singhiozzi, non solo tra i ragazzi ma anche tra ragazzi e famiglie che toccano il cuore.

In quel parcheggio, davanti alla chiesa tutti hanno le lacrime agli occhi, anche i più duri, e quei sorrisi, quelle parole di saluto dette in un mix tra inglese, polacco, italiano hanno sciolto definitivamente anche il cuore di don Karol. E in quel momento guardandolo commosso mi passano davanti agli occhi le immagini del don Karol di questi giorni: all'arrivo severo e austero, durante il pellegrinaggio a piedi di 15 km sotto il sole ligio con la talare "qui da noi usa così", il suo sorriso mentre impara qualche canzone ridicola italiana, il suo insegnare alle ragazze "la polonaise", il ballo tipico polacco, come un vero cavaliere, il suo ballare - sempre con la talare - in piazza durante il festival dei giovani e ancora in pantaloncini e maglietta per la partita di calcio ma soprattutto il suo viso alla partenza del nostro bus: commosso e felice "ora si, qualcuno dice 'Don Karol sei un vero italiano'".
Sì, è bastata una settimana perché degli sconosciuti diventassero fratelli in Cristo. Lo aveva detto sul bus il vescovo ausiliare di Genova mons. Niccolò Anselmi, una frase che suonava a molti strana ma che a Radom, città a 200 km da Cracovia, si è trasformata in realtà.

Dziekuje don Karol, dziekuje Radom.