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Il "marchese arancione" alla resa dei conti dopo cinque anni
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Genova, la quinta città italiana, sta viaggiando verso un sindaco a Cinque Stelle, un grillino nella città di Beppe Grillo, mentre l'estate sta finendo nel segno di Marco Doria, primo cittadino uscente, “arancione” impallidito, ma forse deciso a restare in campo e che gioca al gatto con il topo con il Pd.

A dieci mesi dalle prossime elezioni comunali sta per aprirsi la Festa dell'Unità, nella quale i democratici potrebbero finalmente decidere se appoggiare o no la candidatura bis del “marchese rosso”, che con immani sofferenze hanno difeso, inghiottendo bocconi amarissimi. Quale momento più giusto e quale luogo più corretto dell'appuntamento di fine estate, tra gli stand della Festa, tra una fritella, un “frisceu”, una piadina, un ballo liscio, nella tramontante stagione di questi ex happenning rossi?

Per tutta l'estate, ma anche prima, Genova ha vissuto il dilemma Doria, questo sindaco dai magnanimi lombi, dal sangue blu e dalla vocazione politica rossa e dal colore civico arancione, come Zedda a Cagliari, Pisapia a Milano e un po' De Magistris a Napoli. Che bel dilemma per il discendente di trentaduesima generazione del grande ammiraglio Andrea Doria, figlio di Giorgio Doria, definito per antonomasia “il marchese rosso”, quarti di nobiltà, palazzi in eredità, lignaggio da grande della Repubblica zeneise, nobile non solo di titoli, ma anche di stile, di frequentazioni accademiche, alto borghesi, che sindaco non fu, questo Giorgio Doria padre, ma vice sì, nel 1975 delle giunte rosse primigenie, nella Genova dominata dal Partito Comunista Italiano del 43 per cento dei voti.

Lui, il “marchese arancione”, ha regnato quasi cinque anni e ora è alla resa dei conti. Si presenta di nuovo, tenta il bis, impone se stesso alla sua tentennante coalizione, dove il Pd si spacca sulla sua candidatura e non sa scegliere in questa terra di Liguria dove da un anno e mezzo la Sinistra incassa sconfitte a ripetizione da una Destra che sembrava non esistere più e che, invece, con Giovanni Toti, ex portavoce di Berlusconi e due mesi fa con Ilaria Caprioglio, ex mannequin, ha conquistato la rocciosa Savona, feudo della Sinistra “in secula seculorum”?

Eccolo qui il dilemma Doria, che non svela ancora apertamente le sue intenzioni, che inchioda il Pd a decidere con alti rischi e che in questo momento spiana la strada al sindaco dei Cinque Stelle, in ogni sondaggio, in ogni ipotesi razionale spinto verso una clamorosa vittoria comunale nella primavera del 2017.
I Cinque Stelle sono già il primo partito a Genova, a Savona hanno sfiorato il ballottaggio, non conquistandolo solo perchè hanno sbagliato il candidato, ma raccogliendo una valanga di voti.

Un anno fa non sapevamo chi fossero Virginia Raggi e Ilaria Appendino, oggi sindache di Roma e Torino, ora non sappiamo chi potrebbe essere il personaggio che conquista la Lanterna, ma solo perchè il suo nome non è ancora sbucato dall'urna on line che i grillin stanno preparando con i soliti loro sistemi. Tutto sta procedendo, in questa declinante estate del 2016 genovese per la vittoria grillina, che sigillerebbe la strisciante e inarrestabile decadenza genovese, alla vigilia di un autunno pronto a mettere la lapide sul destino industriale di Genova.

Siamo in piena decadenza con la città in caduta demografica, sotto i 570 mila abitanti, in liquidazione nei suoi patrimoni storici, come la Fiera del Mare, sue grande ex vetrina della nautica, con i progetti del futuro affondati quasi nel ridicolo, come quello di capitale dell' “high tech”, che doveva salire sulla collina degli Erzelli e si ferma sotto, perchè non hanno neppure costruito una strada per raggiungere questo nuovo parco scientifico informatico, laboratorio del futuro, dove la ex Facoltà di Ingegneria sta discutendo se trasferirsi o no da sette anni, senza decidere mai.

Tutto viaggia verso l'affermazione grillina in questa città dove non sono neppure ammessi i miracoli della Madonna della Guardia, lo storico Santuario che da ottocento metri di altitudine veglia sui genovesi e ne raccoglie le preghiere e i voti. Uno dei preti più agguerriti, ed anche più prossimi al mondo grillino, don Paolo Farinella, nella sua consueta rubrica, pubblicata su “Repubblica”, ha appena scritto che quel Santuario, celebrato appunto per i miracoli della Madonna, era stato fatto erigere per “distrarre” i fedeli con utili e spassose scampagnate, in una politica della Chiesa, niente affatto riconoscente per le apparizione su quel Monte sacro della Madonna benedicente e miracolosa, ma più propensa a tenere tranquilli i suoi adepti con altri riti di tipo agreste. Insomma i miracoli per Farinella sono stati “invenzioni”, come se le centinaia di ex voto che costellano la supersacrestia del Santuario fossero anch'esse parti fantastici della riconoscenza umana rispetto al divino.

Lui, il sindaco, ha tenuto botta con dignità e con lo stile proprio, noblesse obligé, della categoria di appartenenza. Supportato anche da frange dell'alta borghesia, quella che al momento della sua sfida iniziale alle zarine Pinotti e Vincenzi, aveva conclamato: “Votiamo lui, perchè finalmente appartiene a una famiglia che si conosce...”.

E così i democratici, già sfiancati da un dibattito interno quasi quotidiano sulle mosse del sindaco Doria, sono arrivati allo sprint finale con la bava alla bocca. Prima hanno messo nel frigorifero la questione sindaco ( dichiarazione ufficiale del segretario provinciale, un giovane avvocato, Alessandro Terrile, di buona volontà, santa pazienza e mille grane) spostandola al dopo estate, al dopo refendum. Poi hanno incominciato a trafiggersi da soli: un giovane filosofo, prof universitario a Pavia, direttore della casa editrice “Il Melangolo”, Simone Regazzoni, già portavoce della sconfitta Raffaella Paita nelle regionali del 2015, si è autocandidato alle future, probabili, ma non certe Primarie della coalizione del centro-sinistra. Dopo l'uscita e anche prima Regazzoni ha incominciato a attaccare l'apparato su ogni tema spendibile, bordeggiando bordeggiando fino a posizioni molto moderate, per esempio sul caso immigrati.

Così da una parte i democratici hanno vissuto e stanno vivendo una lunga stagione di autoflagellazione senza decisioni. E dall'altra si sono messi a cercare un candidato nerll'ipotesi di Doria kaput. Ma l' anno fatta, questa ricerca, “ a umma a umma”, in modo occulto ed anche un po' disperato nel deserto genovese, dove parlare di candidature per palazzo Tursi è un po' come cercare un candidato al patibolo.

Sono stati consultati trasversalmente e direttamente personaggi della società che un tempo si definiva “civile”, come il presidente nazionale degli Agenti Marittimi, Gian Enzo Duci, quarantenne molto vivace, anche presidente del prestigioso Teatro Stabile e professore universitario, Lorenzo Cuocolo, figlio di uno dei mostri sacri della Dc tavianea, professore alla Bocconi e avvocato, pubblicista raffinato e opinionista molto ricercato, Alessandro Cavo, presidente dei commercianti in pectore, imprenditore lanciatissimo nel settore della ristorazione e membro di giunta della Camera di Commercio con nello zaino il probabile bastone di futuro maresciallo-presidente dell'Ente camerale. Per non dire dei candidati organici, Luca Borzani e Lorenzo Basso...

Si va verso un sindaco grillino e verso un ballottaggio nel quale la sinistra, per la prima volta nella storia non solo delle ultime elezioni, ma anche delle tornate precedenti sotto le vecchie leggi elettorali, potrebbe non giocarsi neppure la partita. In questo ballottaggio, che molti già immaginano, vedendo schierati in pole position il mister x o la miss x pentastellati, potrebbe finirci, infatti, il candidato moderato, parisiano o totiano, in ogni caso di centro destra. Anche su questo versante del fronte politico siamo in piena incertezza, ma, visti i precedenti in Liguria e a Savona, si può preventivare che la Destra un candidato lo troverà e lo schiererà, estraendolo come un coniglio dal cilindro.

Resta il problema Doria, tema centrale e determinante in tutta la vicenda di questa calda e lenta estate politica. Ma Doria è veramente così attaccato alla sua poltrona? Un elemento nuovo nel meccanismo decisionale è intervenuto proprio nel cuore dell'estate, quando la Benemerita Università di Genova ha “promosso” proprio il professor Marco Doria da “associato” a “ordinario”, con una decisione improvvisa e molto ritagliata sul persomaggio, visto che erano solo due le cattedre che potevano essere affidate ed è stato scelto il docente di storia delle Dottrine Economiche, attualmente in aspettativa perchè seduto sullo scranno di sindaco della città.

Doria ha tempo fino alla primavera del 2017 per ricoprire quel ruolo universitario verso il quale tutta la sua carriera accademica era protesa. Se restasse in Comune quella cattedra gli sarebbe sfilata da sotto i magnanimi glutei. E nella primavera del 2017 ci sono le tanto attese elezioni. Uno scranno da sindaco pieno di spine o la cattedra universitaria fino alla pensione? Fate voi...