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In direzione nazionale il suo è stato l'intervento più rilevante
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Gran parte degli osservatori sono concordi: l'intervento politicamente più rilevante è stato quello di Andrea Orlando, il ministro della Giustizia. E in effetti, la direzione nazionale del Pd è stata marcata da una parte dalla relazione del segretario Matteo Renzi e, dall'altra, da un Orlando che ha conquistato il centro dell'arena Dem.

Nel Pci e nella Dc, coloro che si ripromettevano di governare il partito - o almeno la parte più rilevante dei processi interni - tendevano a impadronirsi appunto del centro. Orlando - alfiere dei Giovani Turchi ma egli stesso componente dell'area di maggioranza piddina- lo ha fatto con la sicurezza del veterano, non lesinando critiche all'ex premier così come ai suoi oppositori.

Schematicamente: Orlando ha avvertito Renzi sulla necessità di tenere un congresso vero, aperto alla partecipazione e al contributo degli iscritti ben più e diversamente da quanto avvenuto nell'ultima occasione, ma lo ha anche avvisato sull'imprudenza di cercare la scorciatoia di un congresso veloce per avere un voto veloce. "Primarie incastonate nella campagna elettorale per le amministrative diventerebbero una sagra dell'antipolitica" ha detto il ministro. In pratica prefigurando la possibile che, alla fine, le primarie possano diventare un boomerang per il Pd.

In buona sostanza, Orlando si è iscritto alla lista di coloro che vogliono condurre più in là di giugno la legislatura, ma lo ha fatto senza appiattirsi sulle posizioni ferocemente critiche illustrate da Pierluigi Bersani. Ai bersaniani e in generale agli oppositori di Renzi, infatti, Orlando non le mandate a dire. La sua tesi poggia su due punti. Primo: basta sparare quotidianamente sul segretario del Pd, perché si finisce per indebolirlo, mentre lui è il vero strumento che il partito ha per proporre ai cittadini la propria linea politica. Secondo: mettere al bando la parola scissione, perché immaginare un Pd che si divide è un danno per il partito e anche per il Paese.

Secondo le aspettative, dunque, il ligure Orlando ha preso pienamente possesso del ruolo di cui veniva accreditato, sia come possibile alternativa a Renzi per la guida del partito, sia come possibile candidato premier qualora sulla tolda di comando del Pd ci arrivi qualcun altro. Cominciando a parlare il ministro ha chiarito subito che quello degli incarichi non sarebbe stato il tema del suo intervento, ma nei fatti ha poi riempito questo argomento proprio con la forza delle sue affermazioni.

La caratura nazionale del ministro non aveva certo bisogno del passaggio nella direzione Pd per essere suffragata, ma i possibili sviluppi del suo ruolo nell'ambito del partito - anche a prescindere dagli incarichi che dovesse o non dovesse ricoprire - inducono semmai a soffermarsi sul peso che a questo punto Orlando potrà avere sulle sorti del Pd proprio in Liguria.

Nella sua regione si vota a La Spezia, che è pure la città del Guardasigilli, e a Genova, che è fra le principali città italiane chiamate al voto. Il commissariamento di David Ermini non ha prodotto fin qui il risultato di rimettere i cocci della frantumazione prodotta dalla sconfitta del Pd prima alle regionali e poi a Savona. Qui, c'è bisogno di qualcosa di diverso e di forte. Un Andrea Orlando che scala le posizioni nel partito nazionale può essere questo qualcosa di forte e di diverso.