cronaca

Si spengono le vetrine, si chiudono le saracinesche, si smorzano le luci
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 E che ne sarà del nobile quartiere di Portoria, quello di Balilla che lancia la pietra agli austriaci urlando "che l’inse!”, quello dello straziante “picun daghe cianin”, nella oramai realistica chiusura della Rinascente?
Genova magari diventerà “meravigliosa”, come annuncia il sindaco-manager Marco Bucci, ma intanto si aprono buchi neri mai visti nel suo centro ombelicale.



Nei favolosi anni Sessanta dell’apertura della Rinascente, dell’inaugurazione dell’autosilos in prima italiana, quando là davanti (alla Rinascente) furoreggiavano un cinema e l’atelier di Sergio Soldano, il pellicciaio delle dive in arrivo da mezzo mondo, Portoria e Piccapietra erano veramente l’ombelico centrale di una città in superspinta.
Si trasformavano i quartieri “storici” con un piglio rivoluzionario negli stili e nelle prospettive, dall’altra parte della strada costruivano il grande Palazzo di Giustizia sulle spoglie dell’ospedale. Tutto sembrava pulsare lì intorno.
E ora? Portoria e Piccapietra sembrano la resa di una città intera che alza bandiera bianca nel centro del fortino. Già le gallerie che portano a Corvetto e alla chiesa di santa Marta sembrano l’ultimo avamposto degli uomini perduti. Di notte le chiudono con cancellate per impedire che diventino un ricovero libero. Di giorno oramai pochi coraggiosi negozi, alcuni anche con il marchio storico, resistono, come avamposti comandati da ufficiali bianchi con il deserto dell’abbandono e del degrado che avanza.


Sulle scale che affiancano i palazzoni in fronte all’ex Miralanza ci sono accampamenti di punkabestia o di desperados con le loro bottiglie e gli stracci come “base” di un’occupazione volante. Prima si erano piazzati davanti all’ex Bagnara Sport, anche lì scale diventate ricovero d’emergenza.
La piazza centrale di Piccapietra, che mai ha avuto una identità, salvo con il mercatino di san Nicola, oggi emigrato per lavori, è una landa spersa con negozi che aprono e chiudono, in una parata di saracinesche abbassate.
Noi giovani cronisti del tempo che fu la chiamavamo la “Piazza Morta”, già decine di anni fa, perché era solo la copertura dell’autosilos.


Se chiude La Rinascente il quadro diventa ancora più cupo con il lato destro di via XII Ottobre abbandonato al buio e il rischio che sulla scia buia altri chiudano, trascinando il quartiere di Balilla e di Guido Rossa, perché sono loro gli emblemi statuari della location in abbandono, a simboleggiare la storia antica e recente, in una decadenza verticale.
Si spengono le vetrine, si chiudono le saracinesche, si smorzano le luci. Allora sì che Giovanni Battista Perasso, il nostro Balilla, avrebbe diritto di tornare a lanciare i suoi sassi contro l’abbandono e il degrado, al suono del suo urlo “storico”: "Che l’inse?"  Chi comincia a ribellarsi, oltre ai lavoratori della Rinascente?