Il Maestro Marco Tutino a Primocanale racconta la ‘sua’ ‘Miseria e nobiltà’ , l’Opera andrà in scena al Teatro Carlo Felice venerdì 23 febbraio in prima esecuzione assoluta.
Intervistato da Mario Paternostro nella straordinaria location di Terrazza Colombo, Tutino spiega la sua sfida. L’opera comica è un genere poco frequentato dai compositori contemporanei: lui con ‘Miseria e nobiltà’ vuole riallacciarsi a questa tradizione, tutta italiana, adeguandola ai tempi.
Maestro Tutino, perché ha scelto proprio quest'Opera?
"La verità è che ho pensato che ero abbastanza vecchio per fare un'opera leggera. Non è come tutti credono. E' molto più difficile essere lievi che non invece occuparsi dei drammi. E' un rapporto inversamente proporzionale. La leggerezza, lo scherzo, l'ironia sono una delle cose più difficili del mondo. E' una sfida, a 63 anni mi sono detto che era arrivato il momento di provarci".
'Miseria e nobiltà' è molto legata alla tradizione napoletana, come mai la scelta è ricaduta proprio in quest'opera'?
"Innanzitutto perché l'opera buffa italiana nasce a Napoli e la tradizione napoletana è il nostro dna. La comicità italiana nasce lì nel '700 quindi mi era sembrato giusto questo omaggio. E poi perchè guardando questo testo mi è sembrato che con le opportune modifiche poteva diventare una cosa interessante, naturalmente non rimanendo nell'ottica della farsa napoletana che sarebbe stato invece per il genere opera molto limitativo. Insieme allo sceneggiatore Luca Rossi e al librettista Fabio Ceresa abbiamo immaginato questa vicenda ambientata nel '46 proprio nei giorni del referendum Monarchia-Repubblica. Quando la miseria aveva una ragione sociale molto forte e la nobiltà proprio in quei giorni segnava il momento della sua scomparsa. In questo modo prende una connotazione storica: la povertà, il fascismo".
Raccontiamo in sintesi la storia dell'Opera.
"C'è una famiglia composta da Felice, suo figlio e Bettina ma quest'ultima è stata cacciata da casa. Poi scopriremo che è stata cacciata per un’apparente relazione con un nobile. Da lì la vicenda si amplia. Un vecchio allievo chiede a Felice di impersonare suo padre per convincere il genitore di una sua fidanzata a dare il consenso delle nozze. Quando nella realtà il nobile vero pone il veto. Questo nobile però è il famoso problema familiare di Felice. Da lì mille equivoci, travestimenti e poi le spiegazioni".
Come si fa a comporre la musica?
"E' una cosa complicatissima e per fortuna io non so come si fa. Se fossi in grado di farlo vorrebbe dire che ho una consapevolezza che preferisco non avere. Ci vuole un talento preciso per questo mestiere. Non bisogna essere dei bravi compositori, serve essere dei bravi operisti, che è un'altra cosa. Io non posso dire che lo sono ma ho capito che è così".
Pinocchio, anno 1985, lei giovanissimo a Genova in un periodo difficile. Erano anni in cui imperversavano le avanguardie ideologiche che contestavano questo tipo di musica. Come fu quel periodo?
"Fu molto interessante, di grande energia. Io mi opponevo a questa estetica. Ero abbastanza da solo. Ho preso un sacco di botte virtuali. Ma ho capito molte cose di me, di quello che volevo fare. In opposizione si comprende molto del proprio posto nel mondo. Di quel Pinocchio a Genova si ricorda una bagarre in sala tra avanguardisti e persone del pubblico, fischietti di metallo, tutto preparato. Fu molto interessante. Io tra l'altro in quel momento non c'ero perchè ero al bar come spesso accade quando c'è la prima di una mia opera".
Genova ha un pubblico reattivo.
"Questo fa molto piacere, se si conservato così, ma senza fischietti (ride), è meglio".
Lei arriva da recenti successi americani.
"L'esperienza della Ciociara è stata incredibile, la gente impazziva. In ogni replica ci sono state delle manifestazioni di giubilo. E' stato molto interessante scoprire l'America".
A che punto è la musica, dove sta andando?
"Bisogna fare distinzione tra l'Italia e il resto del modo, ahimè. Stiamo perdendo punti, nella musica colta siamo ormai considerati fuori dal giro, è un grande peccato".
Ma di chi è la responsabilità? Della politica, o non solo?
"Bella domanda. La politica siamo noi. C'è ormai una assuefazione ad uno status quo che paga anni di arretratezza e pigrizia culturale"
E non c'è una prospettiva di uscita da questa situazione?
"Certo che c'è, io vedo tanti giovani che hanno voglia di fare, ma naturalmente hanno bisogno di aiuto. Serve una grande attenzione alla formazione. La scuola e le istituzioni come le fondazioni e i teatri possono fare molto. Secondo me negli ultimi anni hanno capito che la parte educativa è molto importante e può garantire un futuro. Lì bisogna investire davvero. Bisogna spingere la politica e lo stato a fare la sua parte".
E' giusto. Come sta facendo Genova: fare un cartellone misto dove si uniscono tradizione e innovazione?
"E' giustissimo perché la musica va considerata come unica e non ghettizzata nei suoi generi. Certo, teatri e fondazioni liriche hanno il dovere di fare le cose al massimo livello. Tutto si può fare, il problema è come lo si fa. Se lo si fa bene e con grande professionalità allora tutto è legittimo".
Felice Sciosciammocca è noto per la mangiata di spaghetti resa celebre da Totò. L'ha tolta?
"No anzi, l'ho amplificata. La fine del primo atto è solo quello".
cultura
"Gli spaghetti di Totò? Certo che ci sono". Il Maestro Marco Tutino a Primocanale racconta 'Miseria e nobiltà'
Debutto il 23 febbraio al Carlo Felice: l'Opera commissionata dal Teatro
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