Vivere e prendersi cura di un malato di Alzheimer è una delle cose peggiori che possa mai capitare ad un essere umano, sia esso figlio/a, fratello, sorella o coniuge. Al momento della diagnosi conclamata si sa che non c'è rimedio. Attualmente la malattia è incurabile. Ed arriva la disperazione.
“L'Alzheimer consiste nella compromissione globale delle funzioni cognitive superiori, prima fra tutte la memoria, con la conseguente perdita delle capacità di far fronte alle richieste del quotidiano e di svolgere prestazioni precettive e motorie, già acquisite in precedenza, di mantenere un comportamento sociale adeguato alle circostanze e di controllare le proprie reazioni. Si tratta pertanto di una sindrome, cioè un insieme di sintomi cognitivi, comportamentali e psicologici, deficit funzionali e dell'autonomia che diventano progressivamente più severi e totalizzanti rispetto alle possibilità di comunicare e relazionarsi”. Ecco, questa è la fredda definizione tecnica dell'Alzheimer. Ma, appunto, è la definizione fredda e tecnica della malattia, Questo,però, comporta notevoli problemi per l'intera famiglia che deve dedicarsi, 24 ore su 24, all'assistenza del malato: tutto il nucleo famigliare, infatti, viene colpito. Il nucleo famigliare – ma spesso una sola persona - deve farsi carico, a sue spese e con notevole impegno fisico e psicologico e relative responsabilità, di quello che i servizi pubblici non fanno o non possono fare, spesso per mancanza di risorse finanziarie. E, quindi, tutto si concentra sulle spalle del cosiddetto “cargiver”. Cargiver, che nella maggioranza dei casi non sa come comportarsi, si trova catapultato in una situazione anomala ma, soprattutto, rimane solo con i suoi problemi. I parenti si trovano ad affrontare molti destabilizzanti cambiamenti che riguardano il malato stesso, la sua personalità, le nuove necessità di presenza e, come detto, di impegno del proprio tempo. Infatti la persona colpita da questa malattia non può essere mai lasciata sola; le sue reazioni ed azioni non si possono prevedere e spesso sorprendono, visto che la maggior parte dei famigliari non ha nessuna conoscenza di questo tipo di malattie neurodegenerative. Ci si affida, spesso sbagliando, al fai da te o al passa parola. E da qui nascono anche i problemi di relazione che possono scaturire fra le persone che sono le più vicine al malato.
Faccio un esempio personale: io ho assistito per un certo periodo mia moglie in casa; mio figlio, che non vive nella mia stessa città, continuava a dirmi: “devi prendere una decisione perchè ti stai ammalando anche te”. Infatti saper tenere insieme e rivolgere attenzione a tutti i problemi – inattesi – che si presentano diventa un stress continuo, stress che alla lunga diventa insostenibile. Anche se l'esperienza insegna che occorre un atteggiamento leggero, ascoltare e non reagire alle continue stranezze del malato spesso non si è in grado di farlo. Il malato non si rende conto dei suoi comportamenti problematici e bizzarri; quindi occorre accettarli e non farli pesare. Insomma, ad un certo punto il malato vive in un suo mondo, con le sue necessità, chi deve farsi carico di tutto è il famigliare e su di lui vengono a pesare i maggiori impegni e problemi. Problemi che, attualmente, le istituzioni non sono in grado, o lo sono solo in parte, di affrontare perchè questi malati, gli ultimi degli ultimi e impossibilitati ad autodifendersi, ricevano le indispensabili e indifferibile attenzioni.
Infine voglio chiudere ancora con un riferimento personale: ecco che cosa ho scritto nel 2011, il primo Natale in cui mia moglie era malata:
NUCCIA
Lei si allontana sempre più,
l'Alzheimer le rosicchia il cervello,
oltre cinquant'anni insieme, svaniti,
ed anch'io cancellato.
Fisicamente è presente, ma non c'è più,
mi sento impotente, arrabbiato,
non so come muovermi.
Che fare?
Avverto la disperazione,
è terribile non poter far nulla,
assistere al continuo declino.
Ormai solo solo, debbo rassegnarmi,
Non so se ce la farò.
*Aldo Repetto Vicepresidente Associazione Alzheimer Liguria
salute e medicina
I miei 50 anni con Nuccia cancellati dall'Alzheimer
Il malato non può mai essere lasciato solo
3 minuti e 16 secondi di lettura
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