cronaca

Pena ridotta a Scidone. Malore per il marito dell'ex sindaco
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Confermata in appello la pena di 5 anni per Marta Vincenzi, ex sindaco di Genova, accusata di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e falso per i fatti dell'alluvione del 2011 in cui morirono sei persone. Ridotta, invece, la pena per l'ex assessore alla protezione civile Francesco Scidone. Alla lettura della sentenza in tribunale il marito di Marta Vincenzi, Bruno Marchese, ha accusato un malore. Assenti, invece, sia l'ex sindaco sia Scidone.

La Corte d'appello ha sostanzialmente diminuito la pena per alcuni imputati e aumentata per altri. L'ex assessore comunale alla protezione civile Francesco Scidone è stato condannato a 2 anni e 10 mesi (quattro anni e nove mesi in primo grado), a 2 anni e nove mesi il dirigente comunale Gianfranco Delponte (che in primo grado aveva avuto quattro anni e cinque mesi), a 4 anni e 4 mesi Pierpaolo Cha (un anno e quattro mesi in primo grado) e 2 anni e 10 mesi a Sandro Gambelli (un anno in primo grado). Le accuse nei loro confronti sono di omicidio e disastro colposo e falso. Sono stati assolti per il reato di calunnia. Condannato a otto mesi (con sospensione condizionale) l'ex coordinatore dei volontari di protezione civile Roberto Gabutti che era accusato solo di falso e calunnia e era stato assolto in primo grado. Il procuratore generale Luigi Cavadini Lenuzza aveva chiesto la conferma di tutte le condanne di primo grado.

"Cosa vuole che le dica? non so se riuscirò a andare avanti". Lo ha detto l'ex sindaco di Genova Marta Vincenzi all'Ansa che l'ha incontrata nella sua abitazione a Rivarolo, sulle alture di Genova

"Non ho parole". È questo il commento dell'avvocato Stefano Savi che difende l'ex sindaco Marta Vincenzi, la cui condanna a cinque anni per l'alluvione di Genova del novembre 2011 è stata confermata in appello. "Dovremmo attendere la Cassazione - ha detto il legale - per insistere sull'applicazione delle norme sull'omicidio colposo".

Aumentata, invece, la pena per Pierpaolo Cha, ritenuto colpevole di omicidio colposo e condannato a 3 anni, mentre a Roberto Gabutti è stato contestato di nuovo il reato di falso, per cui era stato assolto: per lui 8 mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena

L’avvocato difensore dell’ex sindaco, Franco Coppi, aveva chiesto l’assoluzione, sostenendo che la colpa di questa tragedia sia del volontario della protezione civile che non era sul posto per controllare lo stato del torrente e del preside che aveva lasciato uscire i ragazzi da scuola.

Nel 2011 morirono Gioia e Janissa, due bimbe di 8 anni e 10 mesi, la mamma Shpresa Djala, che era appena andata a prenderle a scuola, la diciottenne Serena Costa che doveva recuperare il fratello minore e Angela Chiaramonte che aveva appena sentito al telefono il figlio bloccato in classe. L’ultima vittima è stata l’edicolante Evelina Pietranera, cinquantenne che stava rientrando a casa.

LE REAZIONI

"Sono contento ma questa sentenza non mi ha cambiato niente perché i miei sono ormai morti e non me li riporta più indietro nulla. Però almeno questi qui soffrono un po'. Sono soddisfatto e mi auguro che Dio faccia anche lui il suo dovere e li mandi all'inferno tutti". Lo ha detto Flamur Djala, che nell'alluvione perse la moglie e le due figlie, dopo la sentenza di appello che ha confermato la condanna a cinque anni per l'ex sindaco Marta Vincenzi.

"E' stato confermato tutto quello che è emerso durante il dibattimento - ha sottolineato Marco Costa, il papà di Serena morta a 19 anni dopo avere preso il fratello a scuola - e cioè la responsabilità: non sono riusciti a sminuirla perché non si poteva riuscire. Gli argomenti erano quelli, sono stati sviluppati in primo grado e analizzati in secondo. Il passaggio in Cassazione ci preoccupa perché non sappiamo come vanno le cose in questo settore, ma in realtà siamo sempre stati fiduciosi e in questi anni hanno tirato fuori la giustizia".

L'ANTEFATTO

Secondo l'accusa, i politici e i tecnici genovesi non chiusero le scuole nonostante fosse stata diramata l'allerta 2 e, la mattina della alluvione, non chiusero con tempestività le strade. Dalle indagini era emerso che "gli uffici comunali di protezione civile avevano ricevuto notizie allarmanti già alle 11 mentre il rio Fereggiano esondò intorno all'una". In quelle due ore c'era la possibilità di evitare la tragedia con alcuni accorgimenti che "non vennero messi in atto", aveva scritto il pm. I vertici della macchina comunale "non solo non fecero quello che andava fatto" ma, secondo l'accusa, "falsificarono il verbale alterando l'orario dell'esondazione". Quel documento secondo gli inquirenti venne alterato per sostenere la tesi secondo cui quel giorno sulla città si abbatté una bomba d'acqua di per sé imprevedibile. All'indomani della tragedia venne aperto un fascicolo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo contro ignoti. Grazie alle testimonianze dei cittadini, alle loro foto e video, gli investigatori hanno scoperto che la verità contenuta nei verbali presentati dagli uffici comunali era ben diversa da quanto veramente accaduto. Vennero così ipotizzate le accuse relative al verbale 'taroccato': il falso, appunto, e la calunnia perché gli imputati scrissero nel documento che il volontario di protezione civile risultava presente sul rio a monitorare l'andamento dell'acqua quando invece non arrivò mai sul posto.