
Giovanna Romanato era ed è un esempio di amore e coraggio. Amore verso gli altri, a cui sapeva trasmetterlo con una dolcezza infinita. Coraggio verso la malattia, da cui aveva saputo non farsi travolgere. Minata nel fisico e bisognosa di cure continue, non si era mai lasciata andare ed era sempre pronta ad accogliere con un sorriso chiunque si presentasse alla sua porta.
Da una vita al suo fianco c'era Teresa, quasi una seconda mamma, presente anche questa mattina, quando Giovanna, a differenza di tante altre volte, non ce l'ha fatta, nonostante le amorevoli cure dei suoi angeli custodi, il professor Henriquet e il dottor Ferrera, a superare la crisi respiratoria.
Spesso i sampdoriani si erano mobilitati per lei, per aiutarla ad affrontare le spese di una quotidianità difficile, anzi, difficilissima. Ma non solo i sampdoriani. Alcuni dei suoi migliori amici erano genoani. Molti,benefattori anonimi. Attorno al suo letto e al "suo" polmone c'erano i colori della Sampdoria, ovunque. E tantissimo calore. Perchè Giovanna l'amore sapeva conquistarselo, non le era dovuto. E lei desiderava che fosse così, perchè si sentiva normale. Anche se normale non era, era ben sopra a tutti noi per spirito, intelligenza e generosità di sentimenti. Aveva il suo caratterino, certo, non tutti le andavano a genio, ma era una confidenza che semmai ti faceva sottovoce, sorridendo.
Giovanni è stata aiutata da tante persone, della Sampdoria e non. Eugenio Bersellini, il sergente di ferro. Massimo Maccarone, lo sfortunato attaccante della retrocessione del 2011, il presidente Massimo Ferrero, che prima dell'ultimo derby le aveva fatto visita insieme con il presidente della Regione, Giovanni Toti. Tanti, tantissimi altri, che hanno guidato la Sampdoria o ne hanno indossato la maglia. Ma soprattutto tante persone "normali", tifosi, amici, sconosciuti. Giovanna raccontava spesso di un benefattore che da anni le lasciava un busta con dei soldi nella cassetta della posta, senza mai firmarsi o farsi identificare. E lei aveva il cruccio di non poterlo ringraziare.
Negli ultimi tempi, complice la crisi economica e malgrado gli sforzi delle istituzioni, la sua situazione si stava complicando e lei, con pudore, senza pretese, chiedeva aiuto ma non smetteva di lottare, per se stessa e per gli altri come lei. Giovanna, a differenza di un'altra genovese "famosa" per avere vissuto nel polmone d'acciaio, Rosanna Benzi, non viveva in ospedale, non aveva mai voluto abbandonare la sua casa di via Canevari. Dove era nata e dove oggi la piangono in tanti, specie i fortunati che l'hanno conosciuta.
IL COMMENTO
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