Nei ruggenti anni Sessanta, Settanta Piccapietra era il vero centro della Genova del boom, con la Rinascente, inaugurata dal concerto di Rita Pavone, il bar Motta (futuro Moody) di gran moda, le vetrine dei migliori negozi cittadini, gli uffici prestigiosi di Miralanza e Italimpianti, un palazzo di Giustizia nuovo scintillante, perfino un cinema di lusso, l'atelier del celebre Soldano, re delle pelliccie, con clienti mondiali perfino dello star system e le gallerie eleganti e ben frequentate, tra “firme” dell'abbigliamento, come Crosio e ristoranti chic, la “bottega” di Yves Saint Laurent e perfino l'ufficio in centro di Alitalia, perfino “Futura” un elettrizzante grande magazzino di “cose nuove”, vera attrazione delle nuove generazioni. Senza dimenticare il classico “Berti”, abbigliamento di grande pregio e raffinata clientela, l'interfaccia concorrente di Pescetto e Finollo in via Roma.
Nessun dubbio che quello fosse diventato il vero ombelico della città, tra la parte alta di via XX Settembre, che allora esibiva il top del commercio di qualità, la compassata via Roma dell'understatment zeneise e la piazza Corvetto, infiorata e contortata dai monumenti e dal verde curato della Villetta di Negro e dell'Acquasola, discendenti verso Vittorio Emanuele II.
Oggi scopriamo con la chiusura (ci si augura non definitiva) di Moody, che quelle luci si sono definitivamete spente nel cuore della città: Piccapietra, orgogliosamente risorta dalle macerie della guerra e rilanciata ora contempla le macerie moderne di una crisi che attanaglia quel vecchio cuore cittadino.
Moodye si aggiunge alla catastrofica chiusura della Rinascente, consumata in ottobre, che si è tirata dietro le saracinesche abbassate del Capuccino, il bar di riferimento per giudici, avvocati, cancellieri per il pubblico incessante del Palazzo di giustizia. Ma a monte del cuore di Piccapietra si erano già spenti o ridimenssionati bar, negozi, locali pubblici, a partire da Vezzoni, scarpe di marca, andando indietro nel tempo fino alla chiusura del mitico Bagnara Sport, oggi sostituito da un Carrefour e da un negozio per animali, con tutto il rispetto per chi ne ha bisogno.
Si può dire che tutto questo quartiere, così ombelicale, ha chiuso, al punto che la gallerie a nord di notte sono sprangate con cancelli per impedire che diventino ricoveri per senza tetto, tra la Chiesa di Santa Marta e l'eroico “Tino's”, che resiste a tutto questo.
Dove vanno a prendere il caffè i giudici e gli avvocati, tra una udienza e una pausa e l'altra, cosa diventa, al calare del buio, quello che era stato il centro palpitante della città? Non è solo un crack commerciale, che segue quello degli uffici, un tempo così importanti, delle grandi aziende pubbliche e private. Non ci si può consolare con l'insediamento degli uffici di Costa Crociere, importante ma non trainante, né con la inevitabile espansione degli uffici giudiziari.
Via XII Ottobre, via V Dicembre e la piazza “muta” sul tetto dell'autosilos sono un vero cimitero genovese, un luogo oramai perduto, un avamposto semiabbandonato, anche se a tre passi dal Carlo Felice, dal Palazzo della Regione, dal Ducale, che per fortuna pulsano della loro vita.
Il sindaco Bucci ha fatto delle “vision” il suo marchio di immagine e si batte ovunque per proiettare vision utili alla riscossa genovese, a partire da quella essenziale della ricostruzione del ponte. Ebbene, verrebbe da chiedersi quale vision c'è per una zona così improvvisamente degradata nel cuore della città. La “fine” della Rinascente era stata ampiamente annunciata, quella di Moody causata da un crak finanziario devastante e folgorante del gruppo Fogliani, le altre chiusure non si possono certo caricare sulle spalle del Comune, ma al progressivo logorio del commercio.
Ma Genova non può aspettare che il suo centro si spenga come un fiammifero, senza avere un contropiano. E' come se a Milano si spegnessero le zone intorno al Duomo e a Torino piazza Castello e dintorni e a Roma piazza Colonna.
Certo che quando c'erano Italimpianti, con il suo grattacielo di “colletti bianchi” e la Miralanza di Calimero, piene di uffici e affari, il ritmo della città e di quelle strade era diverso. Certo che questa Genova è un'altra rispetto a quella “ruggente” degli anni Sessanta-Settanta con i suoi 850 mila abitanti e i segni di una crisi che arriva da lontano mordono il tessuto urbano senza rispettare i vecchi confini del locale aplomb.
Ma una reazione ci vuole e non ci si può arrendere in centro ai sigilli del Tribunale, al calo dei consumi, che fanno chiudere le saracinesche per sempre. E' anche una questione di dignità e di stile. Quasi di onore cittadino.
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Con Moody Piccapietra si è spenta, Genova ha perso il suo centro
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