Prima di sottoporsi all'asset quality review della Bce, il prossimo anno, Cassa centrale banca (Ccb) chiuderà l'operazione Carige, di cui dovrebbe diventare il principale azionista rilevando la quota di maggioranza dal Fondo interbancario tutela dei depositi (Fitd)? Oppure lo farà soltanto dopo, posto che secondo il piano di salvataggio ha due anni di tempo?
Le domande non sono oziose e neppure una provocazione. Lo stress test imposto dalla Bce, infatti, pone molto in alto l'asticella su alcuni criteri e non è inverosimile immaginare che Ccb possa avere delle difficoltà a ottenere la promozione. Cassa centrale banca, infatti, nasce dalla confluenza di 84 banche di credito cooperativo, che hanno così dato vita all'ottavo gruppo bancario italiano (altre 143 hanno invece aderito al gruppo Iccrea). E alcuni di quegli istituti, soprattutto i più piccoli, potrebbero rivelare problemi insormontabili all'esame della Bce.
La verità, dunque, è che i controlli della Bce pesano come una spada di Damocle sul futuro non solo di Cassa centrale banca, ma anche di Carige. Il che riporta all'ipotesi che Ccb in realtà abbia già operato per conto terzi nel prestarsi come "cavaliere bianco" nel salvataggio di Carige. Oppure conduce alla non meno verosimile ipotesi - anzi negli ambienti finanziari genovesi è la più gettonata - che Ccb sia stato il salvagente individuato dal Fondo interbancario, e prim'ancora dalla Bce e da Bankitalia, per impedire che l'eventuale crollo di Carige travolgesse l'intero sistema bancario italiano. Mettendo anche a durissima prova il corrispondente sistema europeo.
Il piano per Carige, con il coinvolgimento di Fitd e Ccb, e la supervisione di Bce, dunque, sarebbe servito a un'operazione politicamente tanto delicata quanto importante. Fatta, per le apparenze della soluzione trovata, almeno per prendere tempo. E per consentire eventualmente a Cassa centrale banca di ottenere una remunerazione del proprio "disturbo" qualora non dovesse chiudere l'acquisizione del controllo di Carige. Non bisogna dimenticare, infatti, che Cce potrà rilevare da Fitd la quota di maggioranza in Carige con uno sconto del 50%: se poi rivendesse ad un prezzo maggiorato, quindi, porterebbe a casa una sicura plusvalenza.
In tutto questo, e nell'attesa che gli eventi si incarichino di dirci come davvero andrà a finire, il cerino resta in mano alla Malacalza Investimenti. La famiglia imprenditoriale genovese non partecipando all'assemblea ha consentito da una parte il varo del piano di salvataggio ("con generosità" ha osservato Pietro Modiano, commissario di Carige) e dall'altra di tenersi le mani libere per eventuali azioni legali di risarcimento. Inoltre, Malacalza Investimenti avrà novanta giorni di tempo per impugnare l'esito assembleare dal momento in cui verrà depositato il verbale delle assise, che deve avvenire entro sessanta giorni dall'assemblea stessa.
I commissari, in ogni caso, hanno cominciato il lavoro previsto dal piano di salvataggio (incontro con i sindacati per la chiusura di agenzie e avvio degli esuberi), avendo come obiettivo la definizione dell'aumento di capitale (700 milioni cash più 200 milioni di bond) entro fine anno, o al massimo all'inizio del prossimo. E ciò significa che almeno da questo punto di vista Carige si sta riavviando verso la normalità, con un nuovo management (lo stesso Modiano e l'altro commissario Fabio Innocenzi sono candidatissimi al ruolo di amministratore delegato) e il ritorno alla quotazione in Borsa. Per tutto il resto, invece, si vedrà.
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Carige, futuro con grande incognita. Pesano i test Bce su Cassa centrale
I controlli della Bce pesano come una spada di Damocle sul futuro di Carige
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