Toccherà alla generazione dei nostri figli e nipoti ricostruire il Paese dopo la strana guerra del coronavirus. Perché di una ricostruzione si tratterrà: ospedali diversi, una rete digitale perfettamente funzionante, probabilmente aziende differenti che producono “altre cose”, e un insieme di “sistemi” che a differenza del Nord Europa il nostro Paese ancora non sa ancora usare bene. Mi riferisco per esempio al lavoro da casa.
In questa ricostruzione Genova avrà un ruolo non secondario grazie alla grande prova che sta dando con il nuovo ponte sul Polcevera. Un ponte che mi pare bellissimo nella sua essenzialità. Non ci potevamo aspettare altro da un fuoriclasse come Renzo Piano. Osservavo su Primocanale le prime immagini del posizionamento del lungo braccio che ha scavalcato il torrente, sostituendo la campata crollata. C’è tutto quello che ci deve essere “senza retorica” come direbbe il grande architetto. Mi ha commosso nella sua magica genovesità. Lo stile del ponte sul Polcevera sta all’eleganza in blu e grigio dei vecchi genovesi che, come unici vezzi mettevano un risvolto ai pantaloni e facevano fiorire un fazzolettino bianco dal taschino del doppiopetto.
Uno dei più seri e intelligenti giornalisti italiani, Antonio Padellaro, ha scritto sul “Fatto Quotidiano” che nel suo esecutivo di fiducia metterebbe l’assessore alla Sanità della Lombardia, Gallera che non si piange addosso, il presidente leghista del veneto Zaia uno che sa scusarsi, il ministro della Sinistra, Speranza “non untore del panico” il vice ministro Cinquestelle Sileri “medico che sa di che cosa parla” e anche il sindaco di Genova Marco Bucci perché l’immagine della campata sul Polcevera “apre il cuore sulle capacità che ha il nostro Paese di risollevarsi dalle macerie”. Infine, su tutto, il premier Conte. Padellaro non antepone tessere al suo ragionamento.
Il “modello Genova” è questo, un misto fra lo stile dell’archistar che senza rinnegare la tecnologia avanzata esalta sempre la sobrietà e riesce a fare cose bellissime e il sindaco dalla voce spesso troppo grossa che si sbatte per raggiungere quello che ha promesso un giorno di tragedie.
L’incredibile guerra silenziosa che stiamo affrontando non oscura la sfida della ricostruzione del nuovo ponte, anzi in parte serve a disegnare proprio un metodo completamente nuovo di leggere il nostro Paese. Di conseguenza anche di leggere Genova e la Liguria, affidandone le sorti e l’impegno proprio alle due generazioni che ci seguono, figli e nipoti. Magari anche nella politica.
cronaca
La ricostruzione dopo il virus una miscela tra Piano e Bucci
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