cronaca

1 minuto e 49 secondi di lettura
 E' stata confermata dalla Cassazione la condanna a trenta anni di reclusione per Maurizio Minghella - il serial killer delle prostitute all'ergastolo per altri sette omicidi - per l'uccisione di Floreta Islami, la giovane albanese strangolata il 14 febbraio del 1998 in un campo vicino a Rivoli (Torino). Si tratta di un cold case rimasto a lungo irrisolto e riaperto nel 2014 grazie ai "progressi delle genetica forense", sottolinea la Suprema Corte nelle motivazioni del suo verdetto.


E' stata decisiva la perizia sul dna trovato sulla sciarpa usata per strangolare la donna, l'esame è stato fatto quando le indagini condotte dal pm Roberto Sparagna - che cerca di risolvere altri cinque omicidi - si riaprirono. Della morte di Floreta, per prima aveva parlato, nel 2001, Alketa Demiraj, una delle vittime prese di mira da Minghella e scampata alla sua brutalità dopo essere stata violentata, rapinata e picchiata dal serial killer che per spaventarla ancora di più le aveva detto di aver ucciso altre due prostitute, una a Casalette l'altra a Rivoli. Ma mentre nel primo caso le indagini permettevano di identificare Fatima H'Didou quale vittima dell'omicidio di Casalette, mancavano invece altri riscontri per inchiodare Minghella alla responsabilità di aver ucciso anche Floreta che in quel periodo risultava essere l'unica prostituta assassinata a Rivoli.

E' stato necessario aspettare le prove del Dna sulle tracce genetiche lasciate dal killer sulla sciarpa usata per strangolare Floreta, una modalità che era la sua 'firma'. Alla difesa dell'omicida che in Cassazione ha chiesto le attenuanti per ottenere uno sconto di pena, i supremi giudici hanno replicato che "la straordinaria gravità" di quello che ha fatto Minghella richiede il "trattamento sanzionatorio di massimo rigore". Dell'imputato - nato a Genova 62 anni fa - la Suprema Corte scrive che ha una "non comune capacità di delinquere, non inficiata dai periodi di prolungata detenzione e dal trattamento rieducativo messo in atto" e che ha inoltre dimostrato "l'assenza di qualsivoglia resipiscenza". Le motivazioni si riferiscono all'udienza svoltasi lo scorso 22 novembre. Così gli 'ermellini' hanno reso definitiva anche questa condanna emessa dalla Corte di Assise di Appello di Torino il 23 gennaio 2019.