La serie A è ormai soltanto in parte uno sport: prima di tutto il campionato di calcio è un'industria, il quinto comparto del Paese per fatturato, e quindi risente del blocco forzato: i mancati introiti televisivi, ancor più di quelli al botteghino che sono ormai importanti solo per i grandi club, possono mettere in ginocchio il sistema. Se il torneo dovesse fermarsi qui, il danno per la serie A sarebbe di 700 milioni di euro. Il presidente FIGC Gabriele Gravina parla chiaro: “Stiamo presentando il problema anche in governo, al quale chiederò una sorta di riconoscimento di forza maggiore, per far sì che ci possa essere anche la possibilità di rinegoziare alcuni contratti per creare un sistema di mutualità interno”.
Perciò alcune società hanno già incaricato i propri legali di verificare la possibilità di negoziare con l'Associazione Calciatori la prospettiva di un taglio degli ingaggi, approssimativamente proporzionale alle partite non disputate e comunque attorno al 30%, nel caso di sospensione definitiva della stagione. Sarebbe una prospettiva estrema, da formalizzare su base collettiva e quindi paritetica e valida per Genoa e Sampdoria come per tutte le altre 18 squadre di A, da negoziare necessariamente con l'Assocalciatori, perché inciderebbe nella sfera del diritto civile, con riferimento alle cause di forza maggiore e di impossibilità sopravvenuta oppure eccessiva onerosità sopravvenuta, quali ipotesi di inadempimento funzionale alla risoluzione anticipata dei contratti.
Se le società mirano a ottenere dal governo questo “scudo stellare”, a livello di esecutivo si punta a diffondere ottimismo. “Ritengo che la Serie A – sostiene il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora - possa riprendere a giocare il 3 maggio, almeno questo è quello che speriamo. Valuteramo poi se a porte aperte o porte chiuse, dipenderà dalla situazione. Poi ci saranno le competizioni europee che si incroceranno col calendario”.
Per parte sua l'avvocato Mattia Grassani, esperto di diritto sportivo, avanza la proposta di un fondo di solidarietà mutualistico, con i club più ricchi a tassarsi per consentire a quelli in crisi di continuare a onorare i propri impegni. “Il fronte dei club in difficoltà – dice il legale bolognese a calciomercato.com - è ampio e non conosce categoria e latitudine. Si pensi ad un’azienda calcistica che annovera tra 80 e 150 dipendenti in totale ma non può utilizzarli, dovendo, comunque, retribuirli, con gli incassi pressoché azzerati ed elevati costi fissi di strutture. Quanto può andare avanti in una situazione come questa? Il collasso è molto vicino per molti. Sarebbe, quindi, molto importante ed adeguato alla straordinarietà del momento, creare un fondo di solidarietà, con il contributo a fondo perduto dei Club meno colpiti, che venga incontro a chi non è più in condizione di riprendere il torneo. Se al nostro interno non ci si aiuta, rinunciando tutti a qualcosa per sostenere chi è davvero impossibilitato a rialzarsi, di quale sistema stiamo parlando?".
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Coronavirus, Genoa e Sampdoria pronte a discutere del taglio degli stipendi
Il calcio si prepara a studiare misure straordinarie per affrontare il drastico calo di introiti legato allo stop
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